Tristezza e malinconia, fuori da casa mia (San Filippo Neri)

Vi è nota la barzelletta del parroco che ha il problema dei piccioni? Questi uccelli stanno diventando una sorta di piaga ...

Vi è nota la barzelletta del parroco che ha il problema dei piccioni? Questi uccelli stanno diventando una sorta di piaga sociale urbana, la diffusione eccessiva conduce a rendere invivibili o quasi i luoghi vicini ai siti di nidificazione fra sporcizia e deiezioni… Dunque un parroco ha nella sua Parrocchia questo problema: si consulta con un collega, racconta di averle provate tutte, gli spunzoni sui davanzali, il ricorso all’aiuto del Comune (stai fresco), altri mezzi più o meno originali, ma niente, i piccioni imperversano comunque. Alla fine, il secondo Parroco suggerisce al primo “dagli la Cresima: dopo, spariranno di sicuro”.

Ecco, un modo spiritoso di evidenziare un problema tipicamente parrocchiale, quello dell’abbandono della frequenza alla Messa e alle attività parrocchiali dopo il conferimento della Cresima, che per lo più avviene proprio nella fase adolescenziale.
Anche un modo, in questa rubrica, di uscire dal seminato – che vorrebbe modestamente guardare alla “storia” – per entrare per una volta in una forma più aneddotica e personale di comunicazione.

Mi è venuto in mente di farlo leggendo del meritorio ciclo di catechesi sulla Gaudete et exsultate di Papa Francesco che sta svolgendo il mio Vescovo, il Cardinale De Donatis. Noi poveri romani siamo sempre un po’ in difficoltà rispetto a tutto il resto del mondo nel parlare del nostro Vescovo, si sa: il Vicario Generale è il nostro Vescovo? Certamente, ma ricordo con un particolare sorriso le parole dello stesso De Donatis che udii di persona: ci raccontò che nel corso di un suo incontro con Papa Francesco questi gli aveva chiesto “come sta la mia Sposa, la Chiesa di Roma?”
Già, come se la passa la Chiesa di Roma? Quella universale, a quanto pare, se la passa male: impossibile aprire google senza trovare in prima linea notizie negative su di essa, abusi sessuali, veleni e chiacchiere astiose, richiami accidiosi alla retta dottrina presuntamente violata proprio dal Vescovo di Roma ma per fortuna riaffermata dai suoi presunti intrepidi sostenitori. Come si diceva in altra occasione una ammuina, un patatrac da non dirsi. E non parliamo poi della rete, dei blog, in cui la più moderata delle pagliuzze che incessantemente si ricercano negli occhi degli interlocutori siano la soave e lieve accusa di “non essere cristiani” ovvero di essere senz’altro “traditori di Cristo”. Uno spirito di fratellanza che, si direbbe, si taglia a fette.

Come sta dunque la Chiesa a Roma? Io di certo non ne ho il polso: il quale, d’altra parte, spero che sia qualcosa di diverso dall’annuario statistico che registra calo di matrimoni, calo di frequenza, aumento dei casi di abuso, scandali, etc etc. Se ascolto il mio Vescovo, (anzi, i miei Vescovi) traggo però non poche occasioni di conforto.
I poco ameni fenomeni sopra ricordati, infatti, possono bene, secondo la catechesi del Cardinale De Donatis, renderci tristi “di una tristezza che non è il capriccio frustrato del bambino, ma qualcosa di più profondo: una sorta di “Alzheimer dello spirito” per cui non cogliamo più la bellezza, la grazia, l’opportunità divina. Il Signore passa e noi non ce ne accorgiamo perché siamo troppo intenti…. magari a lamentarci perché non ci aiuta o consola. La grande tristezza sta silenziando la grande bellezza”. Cosa particolarmente grave per un romano che la grande bellezza ce l’ha squadernata ogni giorno, al netto dell’orribile film di Sorrentino di pari titolo e delle brillanti (si fa per dire) performance delle amministrazioni comunali romane.

Quali possono essere le caratteristiche di una santità quotidiana capace di riaccendere in noi la santa letizia? Secondo il Cardinale, che interpreta la Gaudete et exsultate, essenzialmente due, la pazienza e la contentezza, l’umorismo. Concentriamoci su quest’ultimo. “senza di esso – pensate – come faremmo a sopportare noi stessi?… L’umorismo è il privilegio divino delle persone amate… è proprio di chi ha smesso le vesti dell’onnipotenza… esso richiede di de-mentalizzarci, cioè di non ridurre tutto a ragionamento. Spesso facciamo l’errore di scambiare i nostri processi mentali con la verità di noi stessi. Non è così! «Quel che saremo – dice San Giovanni – non è stato ancora rivelato». Noi abbiamo preoccupazioni, dolori, ma non siamo le nostre preoccupazioni, i nostri dolori. Siamo solo FIGLI. Ecco la verità che ci salva da noi stessi”.

Ebbene, che sollievo, che meravigliosa boccata di aria fresca! Verità sacrosantissima: senza umorismo come potrei sopportare me stesso se ogni volta che mi guardo allo specchio mi viene da scoraggiarmi? È grazie all’umorismo che tramuto il senso di disperazione che talvolta mi assale in un atto di divertita autocritica e mi dico guarda che bella faccia di …. e poi penso che questa mi è stata data e tanto vale riderci su.

Beh, e mica poi solo nei confronti di se stessi, eh? Ma pensate un po’ alle tonnellate di orrende frescacce che seppelliscono chi si avventura nel web, alle solenni dichiarazioni politiche con tanto di rosario in mano, agli scandali urlati perché in un libro di prima elementare ci sarebbe scritto la frasetta che la mamma sta cucinando e il papà sta lavorando, mio Dio che orrore! E poi me too, no vax, suprematisti di paese, cantanti impegnati che sparano stupidaggini a raffica, profeti di paradisi improbabili, zazzere arancioni che sostengono prima questi e poi quelli, compassati e presunti unitivi appelli alla concordia mentre si è concordi soltanto nell’odiarsi, nel ricercare incessantemente solo motivi per darsela di santa ragione: è vero che c’è da preoccuparsi ma se guardiamo il tutto in giusta prospettiva, c’è anche da morire dal ridere. Eh si. Per ora, almeno, ridiamo, per morire c’è tempo.

In Gaudete et exsultate il santo Padre ci invita a far nostra la preghiera di San Tommaso Moro, che è, essa stessa, un monumento all’umorismo “dammi, Signore, una buona digestione e anche qualcosa da digerire”: si apre così. Nel prosieguo, si prega: “non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa tanto ingombrante che si chiamo “io”. E ancora, “dammi Signore il senso dell’umorismo”.
Chissà se lo ha conservato fino alla fine, se il Signore ha esaudito questa sua preghiera quando ha chinato la testa sul patibolo; quando quell’uomo evidentemente spiritoso ha realizzato in modo definitivo la sua santità, diventando martire della libertà e testimone di Cristo. San Tommaso Moro, irremovibile e sorridente oppositore, prega per noi.

Alberto Hermanin


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