San Corrado Confalonieri

Il Santo del mese - 19 febbraio


Nasce nel 1290 nel castello di Calendasco, presso Piacenza: città dove la nobile famiglia guelfa dei Confalonieri possiede vasti feudi. Trascorre una giovinezza tra agi e privilegi; il suo maggior divertimento è la caccia. Un giorno, a caccia con amici e familiari in una zona fitta di boscaglie, ebbe la pessima idea di appiccare il fuoco per stanare la cacciagione ma le fiamme divamparono distruggendo in breve boschi, campi e case di contadini. Spaventati ed impotenti di fronte a questo evento, Corrado e i suoi compagni scappano decisi a non far trapelare la verità. È ritenuto colpevole un povero contadino che viene condannato a morte. La notizia colpì la coscienza di Corrado che non riesce a sopportare che un innocente muoia per una colpa che invece è sua. Non esita quindi a bloccare il corteo che conduce l’innocente alla forca e chiede udienza a Galeazzo Visconti signore di Piacenza, al quale si dichiara colpevole, subendo la pesantissima pena della confisca di tutte le proprietà per risarcire il danno fatto (in quanto nobile evitò le punizioni corporali).

Ormai povero decide di indossare l’abito dell’Ordine della Penitenza (poi meglio conosciuto come Terz’Ordine Francescano) vivendo presso un ospedale-eremo che accoglie i pellegrini che percorrono la via Francigena diretti a Roma. Per noi del XXI secolo è difficile vedere nella scelta penitenziale-eremitica di Corrado un’autentica “vocazione laicale” ma il fare pubblica penitenza era l’unica via nella Chiesa del Medioevo data a un fedele laico di fare apostolato: il “penitente” era una catechesi vivente per il prossimo, un esempio e un ammonimento per i peccatori; un realizzatore di opere di carità verso i poveri e, inoltre, i luoghi sacri abitati dagli eremiti erano punti di riferimento per popolazioni rurali che vivevano molto lontane da una parrocchia.

Dopo qualche anno, Corrado parte anch’egli pellegrino per Roma, passando da Assisi per venerare il Poverello di cui si è fatto imitatore. Poi in Terra Santa. Al ritorno fa tappa a Malta e infine sbarca in Sicilia. E da questo punto in poi il racconto si colora delle note dell’affetto e della devozione della Chiesa che è in Noto, patria d’adozione del Santo. Pare che Corrado giunga nel paese di Palazzolo dove la popolazione gli avrebbe sciolto contro i cani costringendolo a raggiungere Noto dove fa amicizia con Guglielmo Bucchieri, santo eremita locale, che gli indica nella località “le Celle” il posto adatto per la vocazione eremitica. L’austera vita di Corrado è scandita dalla preghiera e dal lavoro manuale da cui ricava il poco cibo per sostenersi, tanto che – secondo la più antica “Vita” scritta nel ‘300 in lingua siciliana – le sue tentazioni sono soprattutto di gola, ma la sua perseveranza è fortissima e il diavolo, contro il quale combatte in continuazione, se ne va sempre sconfitto. Aumentando il numero dei fedeli che si recano da lui, decide di spostarsi nella Valle dei Pizzoni, più aspra e più impervia. Ma il desiderio di essere più vicino a Dio non è mai in contrasto col farsi prossimo ai fratelli: questo è il periodo in cui la popolazione della Val di Noto chiede con forza a Corrado di intercedere presso Dio e avvengono miracoli come il moltiplicare il pane per sfamare la popolazione durante la grande carestia che colpisce la Sicilia nel 1348-49; miracolo di cui fu testimone oculare il vescovo di Siracusa (all’epoca Noto non era diocesi).

Presagendo la fine fa chiamare da Noto il suo confessore e, dopo aver ricevuto i sacramenti, Corrado spira in ginocchio in atteggiamento di preghiera nella grotta dei Pizzoni il 19 febbraio del 1351. Sepolto nella chiesa di San Nicolò a Noto Antica, subito è venerato come santo dai netini e le sue reliquie poste in un’artistica urna d’argento. Il culto è approvato da papa Leone X nel 1512 e nel 1625 Paolo V estende la sua memoria a tutto l’Ordine Francescano. In seguito al terremoto del 1693 che distrusse Noto Antica, le reliquie verranno traslate nella cattedrale barocca della ricostruita città di Noto.
a cura di Francesco Costa


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