Tensione

(L’amore è rivoluzione pagg. 195-200)





“Se noi crediamo, anche la rivoluzione dell’amore diventa possibile”: la fede della quale parla il Servo di Dio è la fede eroica, forte, dei martiri, dei santi, di quanti non hanno e si sono donati interamente per Cristo, per il Vangelo, per vivere fino in fondo le esigenze dell’amore di Dio.
In questo brano Giaquinta invita con decisione a riconoscere un modo di vivere il cristianesimo che resta in superficie, che non svela il
“meraviglioso disegno dell’amore che Cristo è venuto a rivelarci”, una fede che non può certo essere rivoluzionaria.
Una fede profonda nasce dal contatto con Cristo, non da una semplice scelta volontaria: è Cristo a trasformare il mondo e per farlo si serve dei suoi discepoli, di tutti, nessuno escluso. Perciò ciascuno è chiamato a rendersi strumento dell’azione dello Spirito, a passare all’azione e per farlo bisogna chiedersi quale significato l’amore di Cristo debba avere
“concretamente nella nostra vita personale e collettiva e quali direttive di azione ne debbano seguire in conseguenza”.


Per chi crede tutto è possibile, diceva Gesù (Mc 9, 22); se noi crediamo, anche la rivoluzione dell’amore diventa possibile. Ma condizione che al verbo «credere» si dia un senso forte e totalitario.
Credere al modo di Paolo, dei martiri, dei santi, di quanti cioè hanno scommesso e giocato la propria vita per un grande ideale.
Potremmo, a questo proposito, far notare che oggi tale eroismo, anche in campo umano, è meno scarso di quanto si creda. Ci vuole del coraggio ad affrontare certe situazioni estremamente pericolose o a correre i rischi di una impresa spaziale o, tanto più, a lasciarsi bruciare vivi in segno di protesta.
Non vogliamo dare giudizi sul significato sociologico di questi fatti; la nostra conclusione è un’altra: se fuori di una particolare assistenza dello Spirito si possono realizzare certi gesti generosi o addirittura eroici, dobbiamo aver paura di affrontare rischi della rivoluzione, noi che siamo nati dall’Amore che non è potenza, ma onnipotenza?
Però è necessario credere, e sino in fondo. Non è fede da rivoluzione il tornaconto spirituale, il minimimo morale, la vernice religiosa, la ripetizione di gesti non compresi, non amati ma solo eseguiti per forza di abitudine, il compromesso interiore, la meschinità di voler salvare la faccia del cristianesimo senza viverne l’anima, il contentarsi del minimo indispensabile, la falsa umiltà di non voler pretendere di fare cose troppo grandi o di cambiare il mondo, il desiderio di poter arrivare ad un angoletto di paradiso quasi fosse un piccolo pezzo di terra al sole acquistato a forza di sudori e di risparmi.
Questo tipo di cristianesimo, se analizzato con la lente del minimismo spirituale, è più che sufficiente; se visto invece con quella della dialettica del massimo appare come la caricatura umana del divino, meraviglioso disegno dell’amore che Cristo è venuto a rivelarci.
Si dirà subito che la semplice fede, anche se eroica, da sola non realizza la rivoluzione dell’amore e l’utopia dei santi. Ma questo non è esatto. Va da sé, infatti, che una fede profonda quale dev’essere quella che nasce da un contatto con Cristo, simile a quello di Paolo sulla via di Damasco, non può non essere operativa. E sta qui il punto di innesto con la conclusione del ragionamento svolto sinora: chi può trasformare il mondo è Cristo e lo Spirito nella Chiesa, ma essi lo fanno attraverso noi.
Cosa vuol dire attraverso noi? Non diventiamo sognatori a vuoto, ma caliamoci nella realtà della vita. Se tutti fossimo profondamente convinti dei principi finora enunciati, avessimo quindi vera fede e ci sforzassimo di fare quanto ci è realmente e concretamente possibile, avremmo già posto i presupposti autentici della rivoluzione. Non si tratta di fare poco, molto o moltissimo, ma di mettersi in un atteggiamento interiore di «tensione» verso la realizzazione dei nostri ideali.
Tensione che significa sforzo, impegno, buona volontà, coraggio, ripresa, insistenza, costanza, fiducia, ottimismo e serenità. Tutte cose che, da sole, risolvono poco; ma ottengono moltissimo quando siano accompagnate da altri due fattori: la forza dello Spirito e il numero.
Sull’assistenza del Signore non possiamo dubitare giacché si tratta di una promessa esplicita (Mt 28, 20) e quindi non ne parliamo. Più scottante è il problema del numero.
Siamo pochi, si ripete, troppo pochi. La verità è assolutamente diversa. Siamo molti, moltissimi, ma timidi e spauriti. Dobbiamo dare fiducia e coraggio, e allora tante maschere cadranno e si scopriranno volti che si erano nascosti solo per paura.
E anche se fossimo pochi, parliamo, dialoghiamo, discutiamo, presentiamo al mondo queste idee, non abbiamo paura del sorriso scettico e vedremo che gradualmente incontreremo consensi e adesioni. Il numero è vita. La rivoluzione dell’amore non ha bisogno che tutti diano un contributo infinito, ma che il numero massimo di persone si convinca di queste idee ed entri nella fase della tensione e cioè dello sforzo.
Non si tratta però di qualche cosa che si muove da sola quasi per forza gravitazionale. È necessario un impulso iniziale. Ciascuno ripeta a se stesso: inizia tu, non attendere che sia un altro che debba prendere l’iniziativa accanto a te. Iniziare, ma che cosa?
La domanda è legittima, ma la risposta che verrà data esige una chiarificazione. È evidente che mentre la formulazione dei princìpi è facile e certa, la indicazione dei mezzi concreti può risultare più discutibile trattandosi di cose possibili ma non sempre infallibili o di iniziative valide solo in alcuni momenti o anche di realtà che possono rivelarsi appena sintomatiche. Tutto questo non ha importanza. Sul piano della strumentalità, i mezzi sono quasi sempre intrinsecamente relativi e quindi sostituibili. Ciò che è essenziale è cogliere lo spirito che vi sta sotto e saperli mutare, al momento opportuno, con altri strumenti più adatti.
In ogni caso bisogna agire. Anche perché, non dimentichiamolo, lo Spirito che è luce è anche essenzialmente operatore ed è Lui che vuole mutare la faccia della terra (Salmo 103, 30).
Prima di andare oltre sarà però necessario che noi precisiamo lo sviluppo del pensiero seguito fino ad ora. Partiti dall’analisi dell’attuale realtà sociale, abbiamo veduto come essa possa essere trasformata per mezzo della ipotesi «utopia dei santi» attuata dalla «rivoluzione dell’amore».
Abbiamo sottolineato poi tre concetti e cioè che tutti siamo corresponsabili appunto perché popolo di Dio, che siamo fratelli, in quanto famiglia di Dio, e che tra noi deve regnare non la pura giustizia, ma la fraternità spirituale e cioè la pienezza della carità.
È necessario però passare all’azione e per questo, sono indispensabili due fattori: avere una fede da rischio e moltiplicarsi numericamente.
Si deve ora precisare che quanto detto sinora corre il pericolo di rimanere inefficace appunto perché generale e quindi, in parte, piuttosto vago. Se vogliamo ottenere dei risultati concreti dalle proposte sinora prospettate, dobbiamo fare un passo innanzi e chiederci quale significato esse debbano avere concretamente nella nostra vita personale e collettiva e quali direttive di azione ne debbano seguire in conseguenza.
Ciò equivale a dire che dai princìpi teologici calati nella nostra vita e cioè divenuti la nostra spiritualità, deve seguire, logicamente, l’attività apostolica.

a cura di Cristina Parasiliti


© 2019 Aggancio – Movimento Pro Sanctitate – Tutti i diritti riservati

I commenti sono chiusi.