Intelligere

“La scienza non è né di destra né di sinistra: il compito degli scienziati è sottoporre a verifica l’ipotesi che il cambiamento climatico dipenda dalle attività umane ...

“La scienza non è né di destra né di sinistra: il compito degli scienziati è sottoporre a verifica l’ipotesi che il cambiamento climatico dipenda dalle attività umane ed è ciò che è stato fatto e si continua a fare. Io oggi lavoro ai processi biologici che hanno a che fare con il processo di Alzheimer: studiare una malattia è di destra o di sinistra? Eppure la salute è un tema che si presta a battaglie politiche. Può essere di destra o di sinistra l’uso che la società fa della conoscenza. Non la scienza”.
Parole dolci al nostro orecchio per l’inizio dell’anno. Si dirà che sono ovvie? Non poi troppo. Il virgolettato appartiene a Steven Chu, premio Nobel per la Fisica, già Ministro all’energia degli Stati Uniti fra il 2009 e il 2013, membro della Pontificia Accademia delle Scienze.
Secondo questo signore, che non sarà il padreterno ma è comunque bastantemente autorevole, le misure prese – per ora a tavolino – per combattere il cambiamento climatico e tutto ciò che esso si porta dietro in termini di disastri ambientali che impattano pesantemente sulla vita degli esseri umani, non riusciranno a frenare il fenomeno. Pessimismo della ragione, per lui. Ma anche ottimismo della volontà.
“Perché questa emergenza è affrontata con sufficienza anche dalla popolazione americana?” gli domanda il giornale Avvenire in una intervista apparsa il 18 novembre scorso: “Ci sono diverse ragioni e la più importante è che si tratta di una cattiva notizia e tutti facciamo fatica a prendere atto di cattive notizie che ci impongono di cambiare le nostre abitudini di vita. Per fortuna esiste anche una buona notizia: che le tecnologie evolvono e quindi potrebbe non essere necessario modificare radicalmente le nostre abitudini di vita per interrompere il cambiamento climatico”.

Ecco, fin qui Steven Chu. L’ottimismo della volontà in questo caso, e trattandosi di uno scienziato, viene non da considerazioni di natura morale, ma dalla stessa evidenza scientifica: bisogna sottoporre a verifica l’ipotesi che il cambiamento climatico dipenda dalle attività umane ed è ciò che è stato fatto e si continua a fare… Le tecnologie evolvono… In altri termini, le soluzioni possibili vanno nel senso di andare avanti, e non di tornare indietro, il che oltre che impossibile per la nota circostanza che le cose non si possono disinventare, non sarebbe neanche accettabile: gli esseri umani vogliono lottare, quando lo vogliono, per stare meglio e non per stare peggio. Ma soprattutto, ciò che impressiona nella intervista a Steven Chu è il richiamo evidente alla razionalità.

Chu è le mille miglia lontano dal catastrofismo che vede la crisi ambientale come una sorta di Dies irae che l’umanità si sarebbe meritata e che induce ad una specie di millenarismo apocalittico certa cultura così detta ambientalista. La quale, nel momento in cui trasforma un allarme scientificamente fondato e motivato in una sorta di mistica del disastro, presta il fianco ad un ancor più pernicioso “negazionismo”, quello di chi nega tutto, compresa la crisi climatica, per motivi diciamolo pure ideologici, quando non per malintesa convenienza economica: si veda il caso del ritiro dell’accordo sul clima da parte degli Stati Uniti…
Si rifletta, prego, che qui non si trattano eleganti temi concettuali di scarso rilievo pratico: si discute invece di fenomeni di rilevanza epocale, al centro della politica e della economia mondiale, dove si misurano le forze e le debolezze di ogni potere esistente.

Ora stiamo entrando nel quarto anno da quando è stata emanata l’enciclica Laudato Si’. Al paragrafo 140 di essa si legge: “A causa della quantità e varietà degli elementi di cui tenere conto, al momento di determinare l’impatto ambientale di una concreta attività d’impresa diventa indispensabile dare ai ricercatori un ruolo preminente e facilitare la loro interazione, con ampia libertà accademica”. Per quanto la si possa torcere e ritorcere questa affermazione non è altro che una esortazione ad ascoltare la scienza e a praticare la razionalità. Il che non significa, si badi bene, che la conoscenza scientifica sia tutto ciò che basta per superare le crisi: c’è infatti pur sempre, e lo dice bene lo stesso Chu, il problema dell’uso che la società fa della conoscenza. Ciò che invece è profondamente, anzi si direbbe tragicamente irrazionale è prescindere da essa, ignorarne i risultati illudendosi, in una sorta di estasi ideologica, che sia il pensiero prevalente e maggioritario, quale che sia, a determinare la verità. Ma due e due non faranno mai cinque, con buona pace del 1984 di Orwell, anche se gigantesche maggioranze politiche in qualsivoglia paese possano esserne convinte da zelanti profeti.
Ecco, questo atteggiamento che è il contrario esatto della razionalità, si spiega secondo Chu, con il fatto che “tutti facciamo fatica a prendere atto di cattive notizie che ci impongono di cambiare le nostre abitudini di vita”. Leggiamo al paragrafo 59 della Laudato Si’: “È il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse”.

E quando poi accade che i risultati concreti di tale atteggiamento si fanno comunque sentire, allora si cerca qualche bel capro espiatorio, qualcuno da accusare, qualcuno magari da odiare. C’è bisogno di fare qualche esempio concreto? Non ce n’è bisogno, per chi vuole fare uso dell’intelligenza umana.

Alberto Hermanin


© 2019 Aggancio – Movimento Pro Sanctitate – Tutti i diritti riservati

I commenti sono chiusi.