La rivoluzione dell’amore

(L’amore è rivoluzione, pagg. 129-136)


I brani proposti in questo numero sono tratti dal libro L’Amore è rivoluzione, pubblicato nel 1973. In questo testo il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta rielabora il suo pensiero sulla vocazione universale alla santità e ne mette in evidenza soprattutto la sua potenzialità di trasformazione della vita personale, della comunità cristiana, della società.

“Rivoluzione dell’amore” è l’espressione che il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta utilizza per descrivere la concreta realizzazione dell’utopia dei santi. Ritiene necessario quindi che tutti siano consapevoli dell’essere coinvolti nell’attuazione, seppur parziale, del progetto di santità che Dio ha per ciascun uomo e per l’umanità. Nel capitolo qui proposto, Giaquinta esamina, anzitutto, se e in che misura il cristianesimo possa considerarsi una realtà capace di attuare tale rivoluzione; la risposta è ovviamente positiva, serve soprattutto per esplorarne la radice, che è lo stesso Cristo. Subito dopo passa alla descrizione delle caratteristiche della rivoluzione portata da Cristo, o meglio, se la sua proposta ha le caratteristiche di una rivoluzione.
- La radicalità del Vangelo e del suo annunciatore per antonomasia: Gesù;
– La radicalità dei discepoli del Maestro
– L’urgenza che tale proposta sia vissuta, accolta e diffusa, non solo come risposta alla chiamata personale, ma quale esigenza della storia. “L’atmosfera è satura di attesa e c’è attorno troppa stanchezza per ciò che è piatto, banale, comune, inautentico, convenzionale”.
Per Giaquinta è chiaro che non si tratta di una proposta per navigatori solitari, ma è necessaria una risposta diffusa, coraggiosa e audace: “Chi potrà fare questa rivoluzione dell’amore? Teoricamente tutti; in realtà è necessario trovare degli uomini che sappiano azzardare e scommettere, dinanzi al mondo, la loro vita sulla validità di questa rivoluzione voluta da Cristo”.

Nella attuale situazione sociale si fa sempre più cosciente, come già si accennava, la convinzione che solo la rivoluzione possa risolvere in modo efficace i problemi che attendono una risposta. Le correnti sociali o di pensiero disposte a farla, anche se in forma diversa, sono parecchie. […] Come è facile capire, le motivazioni addotte per giustificare tutto questo sono molte e soprattutto di ordine filosofico, umano e sociale; non è mancato però chi ha voluto presentare anche delle motivazioni religiose arrivando alla formulazione di una teologia della rivoluzione. Cosa pensare di quest’ultima posizione?
L’argomento, che ripropone la tematica vista nella Prefazione, è della massima importanza e noi vogliamo condensarlo in una sola domanda: Cristo è stato un rivoluzionario? L’interrogativo suppone una analisi almeno elementare della rivoluzione. Tre sono gli elementi essenziali che la caratterizzano: l’inversione delle posizioni esistenti, il fenomeno della violenza, la presenza di uomini disposti a tutto.
Applicando questi elementi a Gesù e alla sua opera storica dobbiamo affermare che, in un certo senso, Egli è un rivoluzionario.
L’inversione dei valori che Gesù ha predicato e vissuto per primo è stata la più spettacolare nella storia della umanità. Basta leggere le beatitudini per convincersene. […]
L’uomo è istintivamente portato al piacere, alla ricchezza, al plauso, al comodo; Cristo fa scoprire valori nuovi proprio nella negazione di tali esigenze istintive. Egli, anzi, da perfetto capo ha voluto vivere per primo quanto ha insegnato agli altri, rimanendo in mezzo a noi esemplare perfetto delle beatitudini.
Ma tutto questo non ha significato se non si riflette ad una seconda inversione di valori operata da Gesù. Il grande mistero che aveva sempre atterrito l’umanità era quello della morte. Gesù ce ne ha svelato il significato mostrandocela come un passaggio, che non significa, quindi, fine ma solo inizio di un periodo nuovo.
C’è una continuità tra il tempo e l’eternità e quanto viene operato in questo mondo ha una ripercussione e un valore nella vita ultraterrena. Questo equivale a sconvolgere tutti i calcoli umani facendoci puntare non più su ciò che è caduco e finito ma sui valori che non possono terminare.
È in questa luce che vanno lette le esortazioni di Cristo a confidare nella Provvidenza, l’invito a spogliarsi di tutto per avere un tesoro in cielo e le severe ammonizioni al ricco avaro. […]
Ma perché possa esserci una rivoluzione si richiede la violenza e cioè il portare le situazioni alle estreme conseguenze, il superare le barriere ordinarie, il saper usare la forza in un grado estremo.
Oggi diamo al termine «violenza» un significato prevalentemente negativo, ma non si può dire che ciò sia esatto. Anche l’amore conosce la sua violenza che abbatte le formule convenzionali, che non teme le conseguenze della sua donazione, che straripa come un fiume senza badare a calcoli o tornaconti, che vuole espandersi su tutto e su tutti. È questa la violenza di Cristo. Egli non si accontenta di amare i discepoli ma li ama in modo sconfinato (Gv 13, 1); non si limita a fare qualche cosa per gli amici ma muore in croce per loro; non ha per i crocifissori solo parole di perdono ma arriva a scusarli perché non sanno quello che fanno.
È la violenza del suo amore che lo costringe ad accettare in silenzio le assurdità più atroci della sua passione e a chiamare amico il traditore.
Cristo è venuto a portare la violenza del fuoco che si espande (Lc 12, 49), della spada che taglia (Mt 10, 34), della guerra che crea inevitabili divisioni: «Saranno divisi padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12, 53).
Questo perché non può esserci convivenza fra l’amore e l’odio. La violenza dell’amore non può non scontrarsi con la dura corazza della violenza dell’odio e provocare quindi divisioni.
Ma se Cristo non avesse avuto dei seguaci generosi sarebbe rimasto un solitario della violenza dell’amore e non avrebbe potuto compiere quella rivoluzione meravigliosa che ha condizionato i venti secoli della nostra storia.
Gli Apostoli e i discepoli sono stati gli uomini disposti a tutto e capaci di andare sino in fondo. Hanno avuto anch’essi i loro momenti di debolezza, ma quando Gesù risorto li ha confermati con la forza dello Spirito Santo, hanno superato ogni ostacolo, non hanno avuto paura degli uomini, sia pure posti in autorità (At 5, 28), e hanno saputo testimoniare Cristo sino alla morte. […]
L’utopia dei santi, se non vuole rimanere una assurda chimera, deve essere attuata da una rivoluzione di amore, e oggi abbiamo tutti i presupposti per poterla fare.
L’atmosfera è satura di attesa e c’è attorno troppa stanchezza per ciò che è piatto, banale, comune, inautentico, convenzionale. Si torna a scoprire la forza travolgente del messaggio di Cristo e si comprende che solo attraverso una sua integrale attuazione gli uomini potranno capire di essere fratelli e attuare le riforme necessarie per una convivenza umana e cristiana.
Chi potrà fare questa rivoluzione dell’amore?
Teoricamente tutti; in realtà è necessario trovare degli uomini che sappiano azzardare e scommettere, dinanzi al mondo, la loro vita sulla validità di questa rivoluzione voluta da Cristo. I rivoluzionari dell’amore (ameremmo chiamarli i guerriglieri e le passionarie del Crocifisso) devono avere il loro impegnativo codice di guerra a cui attenersi con fermezza e ostinazione.
Essi devono soprattutto distruggere la vergogna di essere se stessi. L’amore umano arriva spesso a superare l’istinto naturale del pudore; saprà quello divino vincere i falsi timori, le infantili vergogne, le innate timidezze, il rispetto umano nella professione e nella dedizione alla causa di Cristo?
È un’ora grave, quella che attraversiamo. Ogni reticenza, incertezza, temporeggiamento equivale ad una collusione con la forza del nemico dell’amore. Nessuno prenda su di sé la grave responsabilità di non aver dato il proprio contributo alla salvezza della umanità che può aversi solo nella utopia dei santi realizzata dalla rivoluzione dell’amore.

a cura di Cristina Parasiliti


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