Fraternità cristiana e vita sociale

G. Giaquinta - La rivolta dei samaritani, pagg. 160-183

Il testo “La rivolta dei samaritani” è stato pubblicato nel 1977 dal Servo di Dio Guglielmo Giaquinta; in esso l’Autore ha sintetizzato alcune riflessioni sulla dimensione sociale della fede cristiana, scaturite dall’esperienza con il gruppo degli Animatori Sociali, formato da uomini i quali, attraverso la loro presenza nella società, si impegnano a elaborare e attuare progetti che mirano a fare della fraternità universale il principio base non solo delle relazioni fra singoli, ma anche delle strutture sociali. Tale ideale è descritto in termini ampi, dal respiro universale, anzi lo stesso Giaquinta non esita a definirla “utopia”, che però diventa principio ispiratore della realtà.
Il brano proposto mette in evidenza proprio questa “utopia”, cogliendo la dimensione sociale del cristianesimo come la naturale evoluzione del senso di fraternità presente nell’AT; in particolare emerge la dimensione universale del cristianesimo e la sua conseguente incidenza sulla vita sociale. La fraternità vissuta dai cristiani trasforma le relazioni sociali.

Quando noi parliamo di cristianesimo non possiamo dimenticare che esso ingloba in sé anche gli elementi essenziali propri del Vecchio Testamento e del popolo ebraico. […]
Alcune brevi indicazioni dimostrano la fondatezza di queste affermazioni. Il testo in Deuteronomio 32, 5-21 dà l’impostazione esatta del rapporto fondamentale tra Dio e Israele. Dio è il Padre che ha generato Israele, liberandolo dalla solitudine del deserto dove era condannato a morte certa. Egli lo ha curato, nutrendolo e facendolo diventare forte. Il Dio di Israele non è come gli altri dei, giacché egli abita in modo particolarissimo in mezzo al suo popolo. Israele non può non essere riconoscente e osservare quanto Dio stesso gli ha prescritto. Da ciò nasce, tra gli Israeliti, un fondamentale rapporto di fraternità che vale anche nel caso che essi non si conoscano tra loro. […]
Questa concezione passa in forma integrale, ma potenziata da motivi immensamente più alti, nel Nuovo Testamento.
È facile mostrare come dalla visione della fraternità religiosa si sia passati a quella sociale. I principi che fondano la fraternità religiosa e che ricalcano in qualche modo quelli dell’Antico Testamento, possono così sintetizzarsi:
– Dio è Padre;
– Cristo è il primogenito dei fratelli;
– i cristiani sono il nuovo popolo di Dio;
– la Pentecoste è la nuova alleanza di amore stabilita non più nel fuoco dell’Oreb ma nel sangue del Calvario e poi nel fuoco dello Spirito;
– i cristiani sono, quindi, fratelli fra loro;
– la loro specifica denominazione (accanto a quella di “sancti” e, più tardi, di “cristiani”) è quella di “fratelli”;
– Gesù stesso ha chiamato gli Apostoli “fratelli”;
– tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nella Chiesa ed esiste quindi una universale vocazione alla fraternità.
Il passaggio dalla fraternità religiosa a quella sociale non può non seguire come conseguenza essenziale, come del resto già visto nell’Antico Testamento; con la differenza, però, che nel cristianesimo il fenomeno è assai più complesso trattandosi non di una religione nazionalistica ma universale.
Studiando l’argomento vediamo che la fraternità sociale, oltre a risolvere alcuni problemi concreti deve poi affrontare, con i primi secoli, anche quelli teorici di fondo che porteranno in seguito al passaggio dalla fraternità sociale stessa alla “teocrazia politica”.
Fermiamoci nell’analisi di questi punti.
I problemi che sul piano del concreto vengono a porsi con esigenza impellente sono quelli economici.
I primi cristiani non erano tutti dei benestanti e se dobbiamo stare alla 1Cor, molti erano di condizione assai povera (1Cor 1, 26-30).
Questa situazione di povertà aggravata dalla posizione di illegalità in cui i cristiani venivano a trovarsi in una socialità essenzialmente legata a strutture sacralizzate fece scattare all’interno della comunità tre soluzioni fraterne che dovevano attenuare le difficoltà sociali: l’istituzione dei diaconi, la communio bonorum e la colletta.
Su ciascuna di queste soluzioni non sappiamo molto, ma ciò che appare evidente è che esse sono il frutto sociale della fraternità religiosa.
La creazione dei diaconi, descritta dagli Atti (6, 1 e ss), è in funzione dell’assistenza alle vedove certamente già iniziata da tempo.
La communio bonorum che troviamo presentata in Atti (2, 44; 4, 32; 5, 1 e ss) era una soluzione radicale del problema economico e non può spiegarsi se non come il frutto più generoso di una concezione di fraternità.
Il legame tra communio bonorum e fraternità è particolarmente evidente anche per la completa libertà che veniva lasciata ai cristiani di mettere in comune i propri beni. Il rimprovero di Pietro ad Anania e Saffira è esplicito su questo punto: chi vi obbligava a mettere tutto in comune? (Atti 5, 40).
La terza soluzione sociale, sempre sul piano economico, è quella della colletta, di cui parlano ripetutamente gli Atti e S. Paolo e che certo non poteva risolversi nella raccolta di pochi spiccioli come avviene oggi tra noi.
Prescindendo da tutto questo, è certo che nell’area cristiana viene a formarsi tutta una mentalità di accoglienza e di ospitalità che trae forza dalla fraternità.
Un altro grave problema che veniva a porsi nella nuova comunità cristiana era il rapporto sociale “schiavi-padroni”.
Anche questo trova la sua soluzione ma partendo dalla concezione della fraternità. La lettera a Filemone ne è un chiaro esempio. […]
È evidente, dunque, che nella concezione cristiana il legame di fraternità metteva i cristiani in una singolare posizione sociale sicché essi dovevano muoversi e regolarsi secondo proprie esigenze ed indirizzi.
Man mano però che i cristiani aumentavano crescevano i problemi e, ciò che è ancora più rilevante, questi diventavano di carattere generale e quindi si trasformavano in questioni di principio e in formulazioni teoriche.
All’impero romano poteva non interessare il fanatismo di qualche sparuto gruppo di persone ma esso non poteva non impressionarsi dinanzi a gruppi che diventano massa e che portano avanti una loro concezione sociale fondata sulla fraternità.
I punti caldi vengono subito allo scoperto: ubbidienza alle leggi, la partecipazione alle armi, l’istituto giuridico della schiavitù, i matrimoni cristiani tra liberi e schiavi, la stessa concezione di politeismo.
I cristiani hanno dalla loro parte il fatto della moltiplicazione quasi prodigiosa e della profonda unità cementata dal sangue dei martiri e che stupiva quanti stavano fuori del cristianesimo: “erano un cuore solo e un’anima sola; vedete come si amano”.
Essi appaiono così dinanzi allo Stato come una forza atea e rivoluzionaria appunto perché distruggono, in nome della fraternità, i presupposti sociali dello Stato per sostituirli con altri principi.
I cristiani con la loro mitezza ma, insieme, fortezza e costanza, portano avanti il loro piano di fraternità.

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