Andiamoci piano con l’identità

NELLA STORIA

Secondo il Daily Mail, che l’ha ripreso da alcuni siti arabi, il “califfato” avrebbe aggiunto un altro capitolo alla lista degli orrori cui ci si sta abituando. La curiosa notizia è quella dell’uccisione di 38 neonati, eliminati in quanto disabili. Ci sarebbe anche una sentenza di diritto coranico che avrebbe autorizzato l’eliminazione dei bambini.

Non lo raccontiamo per aumentare il senso di orrore bastantemente diffuso circa le prodezze del terrorismo istituzionalizzato. Il caso si presta però a qualche considerazione utile ad uno sguardo sul mondo. Nei social network, la diffusione di questa notizia avrebbe provocato anche qualche scetticismo, stante – riporta Avvenire – “che l’Islam vieta l’aborto dopo il quarto mese e non potrebbe quindi autorizzare l’uccisione di bambini vivi”. Senza essere specialisti di Islam, l’argomento ci sembra debole, dato che neanche molte altre cose compiute dai terroristi sarebbero ammesse dalla loro fede. Ma lasciamo questo dibattito agli specialisti.

A noi interessa rilevare che una notizia di tal fatta sembra confermare l’esistenza di una parte di modernità ideologica (di impasto, che piaccia o no, occidentale) che esiste nel terrorismo islamico. I terroristi sono in qualche misura figli della globalizzazione, altra creazione di marca occidentale, e assumono da essa non solo le armi e l’uso dei social network ma anche un atteggiamento ideologico: solo quello, e non la fede religiosa, consente di comportarsi come realmente si comportano gli adepti del “califfato”. Che hanno trasformato la religione in una modernissima “ideologia imperiale” profondamente diversa dal Jihad tradizionale, neanche esso peraltro privo di ambiguità anche importanti.

Il richiamo alla ideologia come chiave interpretativa è utile anche nel constatare la convergenza degli eroi dell’Isis con filosofi e scienziati fra i maggiori e più qualificati del mondo occidentale. Fece rumore, ma non troppo, la presa di posizione di Richard Dawkins che giudicò immorale – sui parametri, si capisce, di una morale “naturale” fondata sulla sua visione dell’evoluzionismo – portare a termine la gravidanza quando si ha la certezza che il bambino sarà un disabile con la sindrome Down. Non troppo diverse le affermazioni di Peter Singer, filosofo australiano di rinomata celebrità che in un libro dal titolo “Should the baby live?”, ha scritto che “alcuni bambini con gravi disabilità devono essere uccisi”. Non sarà inutile ricordare che Singer è professore di bioetica (??!) all’Università di Princeton, vale a dire una delle più importanti università del mondo, nel cuore di quel mondo occidentale che gli islamisti hanno giurato di distruggere, mentre Richard Dawkins lo è o era all’Università di Oxford, altro ateneo, come dire, di una certa importanza.

Insomma singolari coincidenze, che complicano non poco la vita, ci sembra, a quanti semplificano un po’ troppo i termini del conflitto che è comunque in corso, facendo magari ricorso a fantasiosi richiami “identitari” che semplicemente ignorano la realtà storica costruendo al suo posto miti fondativi di assai dubbia serietà. E tutto ciò qui, da noi, non in Arabia, in Siria o nel Pakistan.

Esiste certamente una continuità storica, lo abbiamo più volte ricordato, e il volerla espungere sic et simpliciter, come da noi sembra vada di moda, è certamente una forma di accecamento; ma da qui alla fabbricazione di identità culturali fondate sulla speculazione politica con illustri uomini pubblici o presunti tali che si impancano a cantare canti natalizi davanti a scuole pubbliche, ce ne corre.

Non si tratta insomma di arroccarsi a difesa di realtà che, ci piaccia o no, sono largamente indifendibili. Chi sembra averlo ben compreso, ed è proprio il caso di dirlo, è il Vescovo di Roma. Se si prova a considerarne l’opera almeno tentando di spogliarsi degli occhiali della fede, se si tenta di considerarne razionalmente l’operato storico etsi Deus non daretur, il Papa sembra impegnato nella costruzione/dimostrazione dell’esistenza di un altro occidente. Opera ovvia, quanto alla vocazione universale della fede cristiana. Ma sul piano storico fattuale il cristianesimo si è in qualche misura identificato con ciò che definiamo occidente, lo ha permeato di sé. Quando quindi la Chiesa rispondendo alla sua vocazione universale si distacca dalla realtà politica dell’occidente attuale o quanto meno sottolinea con forza alcuni paletti di confine, essa non solo obbedisce alla sua vocazione evangelica ma compie anche una operazione di natura culturale (e quindi politica: ma sì, politica; lasciamo alle anime belle e ignoranti la convinzione che le scelte etiche di fondo non abbiano influenza politica) interna alla stessa comunità occidentale, cercando di riportarla ai suoi fondamentali da cui la prevalenza delle logiche economicistiche la sta allontanando sempre di più.

Quale altro sarebbe mai il significato storico, e lo ripetiamo politico, della enciclica Laudato sì, se non un richiamo alla civiltà occidentale a riguardare dentro se stessa, a verificare se le sue tanto lodate premesse non stiano conducendo a risultati che ne sono la negazione più completa?

Ancora qualche osservazione a supporto.

Il supposto “ambientalismo” del “papa verde” sa in realtà sceverare con impareggiabile maestria il grano buono della responsabilità umana dal loglio dei “diritti animali” e altre corbellerie di tal fatta, forse non casualmente sostenute dagli stessi filosofi che teorizzano l’eliminazione dei disabili prima o anche dopo la nascita.

Secondo, la proclamazione dell’anno santo della misericordia, anche questa vista – sembra paradossale, ma non lo è – etsi Deus non daretur ha il senso di una sfida culturale globale non solo evidentemente agli artigiani del terrore ma anche alla sicurezza di sé delle opulente società occidentali apparentemente convinte di aver trovato ogni soluzione possibile attraverso lo strapotere tecnologico ed economico; e invece attanagliate fin troppo dalla paura, da cui nascono il rancore, il sospetto, l’arroccamento, e in ultimo, in fondo, la violenza. Paura cui i terroristi hanno provveduto per tempo a dare una giustificazione satanica.

Queste osservazioni non sono frutto, evidentemente, di un puro ragionamento scientifico, inapplicabile in questi casi, ma un tentativo, sembra lecito, di applicazione della razionalità ad alcune contingenze dell’epoca. Mentre, oltre ad esse, si leva una silenziosa preghiera di ringraziamento per essere tra quelli che almeno sono consapevoli di aver bisogno della misericordia. Consapevoli, ma non per proprio merito, bensì per dono.

Alberto Hermanin

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