San Guglielmo da Vercelli

25 giugno 2014

Nasce a Vercelli da nobile famiglia intorno al 1085. Probabilmente è orfano in tenera età. A 15 anni, rinunciando ai suoi beni, vestito di saio e a piedi nudi intraprende il pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Tornato dalla Spagna, sempre più animato da fervore ascetico, Guglielmo percorre l’Italia fermandosi in ogni città e in ogni luogo dove vi fossero santi da venerare e santuari da visitare. Dopo esser stato pellegrino a Roma è intenzionato a raggiungere Gerusalemme. A Ginosa, presso Taranto, incontra il monaco San Giovanni da Matera che cerca di dissuaderlo dal proposito di imbarcarsi per la Terra Santa dicendogli che Dio lo vuole evangelizzatore in Italia. Guglielmo non lo ascolta e procede nel suo cammino, ma una notte a Oria incappa nei banditi che, non trovando nulla di cui derubarlo, lo bastonano lasciandolo in fin di vita. Costretto a una lunga convalescenza, legge in quest’evento un segno della divina Provvidenza e si convince a rimanere in Italia. Allora comincia a percorrere il meridione alla ricerca di un luogo adatto per la sua vita eremitica: si stabilisce presso Avellino sul monte Partenio, all’epoca abitato da lupi e orsi. Ma poco tempo dopo molti fedeli ed anche sacerdoti salgono la montagna decisi a seguire l’esempio di Guglielmo che così, da eremita che era, si ritrova abate di una congregazione di monaci desiderosi di vivere secondo le sue regole. Il Santo però si limita ad adattare alle esigenze locali la regola di San Benedetto, dando il buon esempio nell’ospitalità verso i pellegrini, e costruisce una chiesa consacrata alla Vergine Maria nel 1124, da cui verrà il nome di Montevergine.

La vita quotidiana in cima al monte, resa già difficile dalle aspre condizioni climatiche, era improntata a un rigoroso regime penitenziale, suddivisa fra lavoro, preghiera ed esercizio della carità verso i poveri. Nell’ambito del cristianesimo medioevale San Guglielmo abate rappresenta l’anello di congiunzione fra le esperienze di riforma ascetica dell’Ordine benedettino (Camaldoli, Vallombrosa, Chiaravalle) e il ritorno a una religiosità più semplice e vicina al popolo che si avrà con gli Ordini mendicanti (Francescani, Domenicani, ecc.). Il carisma della nuova famiglia monastica è quello di servire Dio mediante la devozione alla Madonna, che i discepoli di Guglielmo presero ben presto a diffondere in tutta la Campania e nelle regioni adiacenti, organizzando numerosi pellegrinaggi verso la loro casa madre. La devozione mariana fu concepita come la via più efficace per catechizzare le masse popolari sul mistero della Trinità di Dio e della redenzione operata da Gesù Cristo. Così Montevergine si trasformò presto nel santuario mariano più famoso e visitato dell’Italia Meridionale.

Una volta resa stabile la comunità di Montevergine, Guglielmo riprende il cammino per fondare altri monasteri nel Mezzogiorno d’Italia, per esempio a Rocca San Felice, Foggia e Troia. Le virtù di Guglielmo e i miracoli che dissemina attraverso la Campania, la Lucania, la Puglia e la Sicilia, non lasciano indifferenti i potenti locali, che finanziano la fondazione dei nuovi monasteri. Degna di nota è soprattutto l’intima amicizia tra Guglielmo e Ruggero II (il re normanno che nel 1130 ha unificato l’Italia Meridionale nel Regno di Sicilia). Il re lo vuole come proprio consigliere e lo invita a fondare un monastero a Salerno presso la sua reggia. Ma gli uomini della corte per mettere in cattiva luce il Santo gli inviano una meretrice con l’intenzione di sedurlo. San Guglielmo allora si distende sulla brace ardente invitando la cortigiana a raggiungerlo. La peccatrice si converte, divenendo sua figlia spirituale, ed è conosciuta come la Beata Agnese da Venosa, dove fonda un monastero femminile secondo la regola di Montevergine.

San Guglielmo muore il 24 giugno del 1142 nel monastero di Goleto, presso Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino). Subito venerato localmente, il culto è stato esteso alla Chiesa universale da papa Pio VI nel 1785. Nel 1807, durante l’occupazione napoleonica, il monastero di Goleto è soppresso e le reliquie del Santo trasferite a Montevergine, ove riposano nella moderna cripta del santuario. Papa Pio XII nel 1942 lo ha proclamato patrono principale dell’Irpinia.

Una grande statua in una nicchia della Basilica Vaticana lo celebra tra i Santi fondatori di Ordini religiosi. Nell’iconografia è rappresentato vestito col saio bianco, tipico dei benedettini di Montevergine, e con accanto un lupo. Questo perché, secondo la leggenda, mentre lavorava alla costruzione della chiesa di Montevergine un lupo sbranò il suo asino. Il Santo allora rimproverò il lupo che, resosi conto di aver interrotto il lavoro dell’uomo di Dio, mitemente si pose al servizio di Guglielmo al posto dell’asino.

a cura di Francesco Costa

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