Stefano Pedalino

(21 febbraio 1952 - 25 giugno 2007) - Per un mondo di fratelli

Stefano nasce ad Avella (Av). La sua infanzia è ben presto segnata da un grave lutto che colpisce la sua famiglia: la morte di una sorellina. La famiglia si sposta nella vicina città di Nola, in una “masseria” in campagna, dove il piccolo Stefano trova il modo per vivere a contatto con la natura che lo affascina, e a fare da subito esperienza dell’amicizia, che resterà per lui sempre un valore tra i più sacri.

Dopo il tentativo di intraprendere la carriera militare, si stabilisce a Brescia, dove nel frattempo si erano trasferite le sorelle maggiori, lavorando presso una ditta di pitture industriali. Qui incontra Anna, la ragazza che sposa a soli 22 anni, senza approvazione della famiglia. Si trasferisce nel piccolo paese della moglie e diviene padre di due bambine, Chiara e Gisella. Lavora in una fabbrica del paese, nella verniciatura. È un lavoro pesante, ma lo gratifica molto e si guadagna la stima di tutti, compagni di lavoro e capi. L’esperienza lavorativa, durata oltre 35 anni, conosce momenti preoccupanti di crisi e di cassa integrazione; è costretto a cambiare ditta e ad accettare un lavoro che prevedeva i tre turni (notte compresa). È proprio in quei momenti critici che Stefano comincia ad avvertire una Presenza che conduce la sua vita, cui più tardi saprà dare il nome: Provvidenza.

L’incontro con un sacerdote lo avvia alla scoperta della Parola di Dio e per lui si apre il mondo della vita interiore e della spiritualità. Entra a far parte di un Gruppo Missionario e si occupa della prima accoglienza degli immigrati, che spesso invita a casa. È impegnato nel Consiglio Pastorale Parrocchiale e si dedica sempre con entusiasmo e creatività ai ragazzi a lui affidati nel catechismo, ma con un occhio di riguardo verso i loro genitori.

Conosce il Centro Oreb di Calino, animato dalle Oblate Apostoliche Pro Sanctitate, in occasione di un incontro nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e lì sente di essere approdato nel luogo in cui appagare il suo bisogno di “andare oltre”. La vocazione universale alla santità e alla fraternità è sentita da Stefano come risposta alla sete che sente dentro.

L’incontro con Mons. Giaquinta segna un’altra svolta nel suo cammino, lo matura nel suo ‘sentirsi’ amato in modo speciale da Dio, e, attraverso il carisma del Fondatore, trova la strada per rispondere in maniera adeguata a quell’amore da cui si sentiva accolto e abbracciato. Decide, così, di far parte del Movimento Pro Sanctitate e poi di appartenere al gruppo ecclesiale degli Animatori Sociali.

Inoltre, durante i venerdì di Quaresima, durante la pausa pranzo, torna a casa, per condividere la mensa della Parola con la moglie Anna. Quei momenti intensi erano preziosi ed appaganti per la loro vita di coppia.

Dopo un lungo periodo di discernimento, viene ammesso tra gli aspiranti al Diaconato Permanente.

Nel frattempo erano esplosi i sintomi di una atrofia multi sistemica, malattia che ben presto lo avrebbe portato all’impossibilità di muoversi.

Padre felice e orgoglioso nell’accompagnare le figlie all’altare, anche quando, in occasione del matrimonio della secondogenita, già minato dalla malattia, ha sopportato tutti i disagi, gli scossoni con relative contusioni nei passaggi da carrozzella a macchina, a sedia o poltrona e viceversa, scherzandoci sopra e dando spirito e sicurezza a chi con qualche timore lo aiutava.

Si sottoponeva a estenuanti esercizi di logopedia, perché il suo cruccio più grande era di non poter parlare in modo da essere compreso durante gli incontri. Finché la situazione glielo ha consentito, ha continuato a mantenere i suoi impegni nella catechesi degli adulti, poi ha sempre seguito da vicino e in maniera significativa i progetti e la preparazione degli incontri, e a partecipare con vivo interesse alle attività del Centro Operativo del Movimento Pro Sanctitate.

Stefano torna alla casa del Padre il 25 giugno del 2007, giorno del compleanno e onomastico del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, fondatore della sua famiglia spirituale.

Le sue ultime parole esprimono tutta la sua vita: “Sono un uomo fortunato… in buone mani… va tutto bene” che sono eco del salmo 23 che ripeteva spesso: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Mi ha sempre colpito e mi è rimasta nel cuore la caparbietà con cui ha perseguito il suo desiderio di essere santo; spesso, infatti, all’interno dei vari discorsi, lui diceva: “Io miro alla santità”, e nella sua vita non si è limitato a dirlo. Lo ha dimostrato nella malattia, dove nonostante essa, ha continuato tenacemente a voler essere marito, padre, catechista, amico attento, confortatore, testimone di Cristo, portatore di un sorriso. (Maria Mondini)

a cura di Enrica Padovano

I commenti sono chiusi.