Beata Elena Aiello

(1895-1961)

Tutti i santi sono testimoni del Vangelo, uomini massimalisti che hanno compiuto nella loro vita una coraggiosa scelta di donazione completa a Dio e, quindi, al prossimo ma in ognuno – a seconda della sua caratteristica umana e psicologica – sono riconoscibili tratti diversi dell’insegnamento e della vita di Cristo. Pensando all’esperienza umana della Beata Elena Aiello si presentano alla mente tutti i passi del Vangelo nei quali si mostra e si esalta la piccolezza dell’uomo che, accogliendo la grazia, diventa forza trasformante dell’ambiente che lo circonda. In particolare, ci si può riferire alla parabola del Seminatore il cui seme, finalmente, incontra il terreno ‘buono’ capace di fruttare anche il cento per uno. Come appare il divino Seminatore nella giovinezza e in tutta la vita di Suor Elena? Egli è il suo Crocifisso per amore dalle cui piaghe e dal cui sangue stilla per lei la rugiada benefica che produce una risposta incondizionata di amore: l’unione mistica ai suoi dolori e alle sue piaghe e l’abnegazione totale nella operosità generosa e instancabile verso i suoi bisognosi.

Elena nasce il 10 aprile 1895 in Calabria, a Montalto Uffago (Cosenza), importante centro della civiltà ellenica e poi romana ma che, come molta parte del Sud d’Italia, conosce piano piano un regresso fino a giungere alla vera povertà. Elena nell’infanzia non conosce ristrettezze economiche poiché il papà è un sarto ricercato e la famiglia, che vive solide tradizioni cristiane, la predispone alla carità e alla condivisione dei beni terreni. La sua giovanissima vita, però è segnata ad undici anni dalla prematura morte della madre che la mette a stretto contatto con il mistero del dolore e Mirabile è Dio nei suoi santi la carica di responsabilità nei confronti di se stessa e della sua numerosa famiglia. È questa esperienza che forgia il carattere e la vita di pietà della giovinetta perché dalla preghiera attinge la forza e l’equilibrio per assolvere al meglio ai suoi doveri quotidiani. Già da allora cominciano a delinearsi le direttrici della sua vita e cioè l’amore alla preghiera, la docilità alla sofferenza, la carità senza limiti.

L’amore alla preghiera lo apprende in famiglia, poi, la consuetudine di preghiera profonda la porta ad una unione sempre più intima con Dio, vissuta nella quotidianità momento per momento e sarà, a seconda delle occasioni: richiesta, intercessione, offerta, consegna e oblazione totale alla volontà di Dio. Questa impronta rimarrà anche all’Istituto da lei fondato, perciò, oltre agli appuntamenti canonici in Chiesa, le stanze dove si svolgerà la vita, il lavoro e lo studio risuoneranno continuamente della dolce espressione dell’Ave Maria, di altre giaculatorie o di dialoghi personali di amore e confidenza con Dio. Ella dice: “vivendo molto unite a Lui facciamo tutto per il suo amore e la sua gloria (cfr Elena Aiello, Doveri della suora). L’unione con Dio nella preghiera, diceva, dona il desiderio di compiere sempre e totalmente la Sua volontà e dona il coraggio di vivere e specialmente affrontare con fortezza le difficoltà.

Molte sono state le sofferenze morali e fisiche nella sua vita, legate da un filo conduttore: soffrire per il bene del prossimo. Anche quelli che comunemente sono chiamati ‘doni mistici’, abbondanti nella sua esistenza (stigmate, sudore di sangue, visioni e sofferenza della Passione, profezia, penetrazione della coscienza) per lei sono niente altro che dolore, ma anche oro prezioso nell’ottica dell’Amore Redentivo. Quell’amore, poi, si è sempre mostrato prodigo nel dono anche di guarigioni nel suo fisico.

Se la prima e più importante carità è il soffrire per amore di Dio e del prossimo, da questa nascono le opere di carità spirituale e materiale – possiamo dire senza limite – nella vita di Suor Elena, prima di tutto in forma di volontariato, poi nella fondazione dell’Istituto delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il cammino di tale fondazione è stato duro e accidentato. Tutto nasce dall’incontro con Luigina Mazza, alla quale Elena sarà per tutta la vita legata da affetto, condivisione di intenti e realizzazione della carità di Dio che guida entrambe. Quattro fratelli di Luigina sono religiosi dell’Ordine dei Minimi – fondato da S. Francesco da Paola – e, nella spiritualità di questo grande santo, le due ragazze concretizzano la loro via maestra: carità, carità, carità verso tutti ma specialmente verso gli ultimi ed i più bisognosi, ammalati, moribondi abbandonati, bambini orfani o privi del minimo necessario, sacerdoti poveri o in difficoltà, famiglie tribolate da ogni tipo di disagio.

Sarebbe bello poter seguire qui lo sviluppo di questo Istituto che, come seme piccolo piccolo di senape, ha prodotto nella Chiesa un grande albero, ma non è questo il luogo di farlo. Piace, però, sottolineare che Suor Elena non era una donna colta: aveva, infatti, frequentato nel suo paese solo le prime classi della scuola elementare ma scriveva e parlava correttamente l’italiano (salvo ad usare qualche frase del suo dialetto per colorire il discorso), osava anche farsi ricevere da Prefetti ed Onorevoli per perorare la causa dei suoi orfani. Ha, inoltre, pensato ed organizzato scuole e laboratori dando ella stessa ogni direttiva. A lei si rivolgevano per consigli persone di ogni ceto sociale, perciò, anche uomini di cultura, politici e religiosi. Tutti ne ricevevano consolazione, lumi, giuste soluzioni dei problemi esposti.

Chi scrive queste poche note su una vita altamente mistica e straordinariamente umana ha avuto l’opportunità di conoscere di persona – per una frequentazione famigliare – “a monaca santa”, come in dialetto calabrese veniva e viene indicata Suor Elena Aiello. Quello che rimane vivo nel ricordo è l’espressione di grande naturalezza, pace e gioia pur nelle forti sofferenze fisiche che da anni la costringevano a letto e le preoccupazioni per un Istituto che, con pochi mezzi economici, era continuamente in espansione. Altro vivo ricordo è la sua personalità profetica che si intravvedeva dal suo sguardo vivissimo e penetrante, insieme alla grande semplicità e alla profonda umiltà con la quale considerava se stessa e la sua Opera.

Rita Mottola di Amato

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