L’Ottimismo Antropologico – una pietra miliare del pensiero di Guglielmo Giaquinta

XXVI anniversario del ritorno alla Casa del Padre del Servo di Dio GUGLIELMO GIAQUINTA

Come ogni anno nel mese di giugno abbiamo presente il dono prezioso che il Servo di Dio GUGLIELMO GIAQUINTA è stato ed è per la Chiesa e per tutti.
La gratitudine è diventata impegno a vivere il carisma che ci ha trasmesso: accogliere il dono della santità, viverlo insieme, annunciarlo come felicità vera per tutti. Il 15 giugno 1994 è iniziato per il Movimento Pro Sanctitate il tempo del grazie che ogni giorno si trasforma nell’eccomi di Maria che padre Guglielmo ha vissuto in mezzo a noi. Da più parti del mondo siamo stati invitati a riconoscere nel Fondatore, per noi “padre”, un esempio, una guida, una luce che accompagna il nostro cammino di santità.
Come non donare anche in questo XXVI anniversario dal suo ritorno al Padre una memoria grata e colma di gioia?
Esprimiamo la nostra gratitudine a Dio per il dono del Servo di Dio GUGLIELMO GIAQUINTA proponendo a noi stessi e ai Lettori di Aggancio una relazione da lui tenuta agli operatori vocazionali e missionari del Movimento Pro Sanctitate.
Teresa Carboni

Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo

L’atto primordiale, principale del rapporto Dio-uomo è la vocazione: è Dio che ci chiama, è Cristo che ci chiama. Ricordate la preghiera del Sitio: Gesù che ha sete di anime, chiama dalla Croce come Lui stesso aveva promesso: «Io, quando sarà elevato da terra sulla Croce, attirerò tutti a me».
Noi siamo essenzialmente del le creature chiamate dal Padre e dal Figlio nella forza dello Spirito. La chiamata divina comporta due risposte: riamare Dio che ci ama e amare gli altri per ché sono amati da Dio; in queste poche parole abbiamo la sin tesi del messaggio cristiano. Alla vocazione corrisponde la missione: Dio ci chiama per mandarci.
Il rapporto vocazione-missione è fondamentale sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Dio chiama i profeti (Ezechiele, Isaia, Geremia) per mandarli: «andrai e nel mio nome sarai come una strada».
Non è dunque un fatto nuovo, questo: alla vocazione corrisponde la missione. La missione del laico consiste nel trasformare il mondo per mezzo dell’amore che viene da Dio attraverso la fede in Cristo. Vorrei che notaste questa espressione: trasformare il mondo per mezzo dell’amore.
Distinguiamo, innanzitutto, la missione e le missioni.
La missione è l’incarico di andare, incarico che noi riceviamo dal Movimento Pro Sanctitate
Noi abbiamo un nostro tipo di missioni, caratterizzato da un messaggio nuovo e da proposte ben precise. Abbiamo un messaggio nuovo da presentare a tutti, quello che io chiamo «la svolta copernicana», ed è l’ottimismo antropologico. Si tratta di un contenuto e, in parte, di una metodologia pastorale nuovi che il Movimento Pro Sanctitate dà alle missioni.

Partiamo dalla realtà di Dio-Amore il quale ha per ogni uomo, anche se peccatore, un piano d’amore. Il problema è far scoprire all’uomo questo piano d’amore che Dio ha per lui.
Noi ci presentiamo non come coloro che vogliono salvare dalle fiamme eterne, dal demonio, dall’inferno, ma come coloro che vogliono aiutare a scoprire la realtà meravigliosa che c’è in ogni uomo e a convertirsi per amore all’amore.
Questa caratteristica nuova e per me affascinante, che è l’ottimismo antropologico, deve essere sempre presente.
Non parliamo solo di storia della salvezza, ma di storia della salvezza-santità.
E occorre aggiungere al termine di storia della salvezza quello di storia della “sublimazione dell’uomo”. Quest’ultima storia comprende cinque cicli: creativo, negativo, itinerante, redentivo e glorificativo.

Il primo ciclo è fondamentale: abbraccia il periodo proto-testamentario, l’inizio, prima ancora del peccato originale; la creazione di un uomo fatto ad immagine di Dio, dotato di doni speciali, oggetto di amore particolare da parte della Trinità. Quando Dio ci ha pensati dall’eternità, secondo la Lettera agli Efesini, ci ha pensati così: «Noi siamo stati scelti e predestinati prima ancora della creazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al cospetto di Dio». È il ciclo creativo: Dio ci crea per amore.

Il secondo ciclo è quello negativo: l’uomo, frutto di amore, si lascia vincere dalla tentazione e pecca. È un dato di fatto che non possiamo negare. Così l’uomo perde molti dei doni ricevuti, anche se non tutti; ma è sostenuto dalla visione di una donna il cui Figlio schiaccerà il capo del serpente tentatore. Per lui c’è, dunque, ancora una speranza! Il primo ciclo è quello dell’amore, il secondo è quello della speranza.

Il terzo è il ciclo itinerante, quello del «cammino verso». È il cammino che, dopo il peccato di origine, partendo dalla fiducia nella Donna e nel suo Figlio, permette all’uomo – anche se peccatore – di esprimersi in figure eccezionali, di vivere momenti particolarmente significativi, di avere rivelazioni inaspettate. E questo comprende tutto l’Antico Testamento.
Figure eccezionali sono i patriarchi, i profeti, i giudici. Momenti significativi, lungo tutta la storia veterotestamentaria, sono la liberazione dall’oppressione dell’Egitto, il passaggio del Mar Rosso, l’esperienza dell’Oreb e del deserto, la conquista della Terra Promessa, la deportazione, la ricostruzione del resto d’Israele … Tutta questa storia è un cammino verso rivelazioni inaspettate: la visione di Dio come Padre, Madre, Sposo; la promessa del Liberatore.

Il quarto ciclo è quello redentivo, è il mistero della Croce, nuova Pasqua, che abbraccia la Nuova Alleanza e quindi tutto il Nuovo Testamento. … Quale significato ha per noi la Croce? Non è un problema di giustizia placata, di un Dio impassibile, crudele, che ha consegnato alla morte il suo unico Figlio pur di liberare l’uomo; ma è l’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito che arriva a questa manifestazione massima. La Croce è per l’uomo realtà, quindi, più che simbolo, dell’amore infinito del Padre, del Figlio, dello Spirito.

Il ciclo redentivo, operato dallo Spirito soprattutto attraverso la Chiesa, porta i figli, da questa rigenerati, verso il quinto ciclo, quello glorificativo: è l’eternità con la visione trinitaria che ripete per l’uomo, in forma ancora più sublime, l’esperienza proto-testamentaria, anteriore al peccato di origine. Noi nasciamo dall’amore di Dio e ritorniamo nell’amore ancora più pieno del Padre, del Figlio, dello Spirito.

Ecco i cinque cicli dell’amore. Sostenuto nel suo non facile cammino di peccatore dall’amore di Dio Padre, l’uomo giunge alla montagna santa del Calvario, per iniziare la strada verso l’eterno infinito amore trinitario.
Se Dio ha avuto fiducia nell’uomo nonostante le sue debolezze, è segno che in lui sono sempre presenti vestigia dell’amore creativo, dell’amore che gli ha promesso la Donna e il Figlio, dell’amore che lo ha sostenuto nel «cammino verso», dell’Amore crocifisso, dell’amore glorificativo.


Una testimonianza “di famiglia”
Quando penso alla figura di Mons. Guglielmo Giaquinta mi tornano alla mente e poi al cuore i suoi occhi penetranti e le sue labbra pronunzianti. Con la mente vado a ripercorrere i tempi, i luoghi dei nostri incontri; con il cuore cerco di custodire la profondità dell’animo e del messaggio consegnata a me e agli altri con me perché dato al padre, dal fratello, dall’amico. Un vero regalo di famiglia in somma. Poi mi fermo per domandarmi il segreto di tanta gioia e di tanta serenità raccolte dal suo volto, anche se erano conosciute le tante spine che insidiavano i passi.
Lo ricordo con lo sguardo penetrante e scrutatore per accogliere fin dal primo apparire chi andava a trovarlo. Erano i suoi occhi i primi a dare il benvenuto: aperti al massimo per dire la gioia, la sorpresa e il godimento dell’incontro. Si dice che gli occhi sono la finestra dell’anima. Dallo sguardo vivace, penetrante e illuminato si capiva che nell’incontro l’anima di lui si disponeva ad essere la «casa» per chi arrivava.
E ci si sentiva a propria agio, compresi, rasserenati, rincuorati. Era un dono per lui l’incontro; era una gioia poter consegnare la certezza dell’amore di Dio e la dolce certezza di avere al fianco la Vergine, Madre della fiducia.
Anche le sue parole, lente e sommesse, portavano il sapore di tanta lettura costante nella luce di Dio e il timbro del vigore di chi è pienamente certo, perché ha già vissuto, e quasi vede quello che va annunciando. Parlava anche senza pronunziare le parole. Le sue labbra erano rafforzate di preghiera e protese a baciare la croce; anche se pesante, sempre segno del l’amore di predilezione di Dio nei suoi confronti.
Così, «l’amore» della fedeltà a quanto il Signore gli ha chiesto è passato attraverso la modulazione nascosta o anche proclamata delle sue labbra
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Pio Vigo, arcivescovo


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