Beato Diego Oddi


Ci sono «militi ignoti» che hanno offerto la loro vita per la grande causa di Dio. Uomini e donne vicini a noi nel tempo e vicini a noi nel loro messaggio. Attuali. Di loro certamente il Serafico Padre Francesco d’Assisi avrà nuovamente potuto ripetere: “Essi sono i più eroici cavalieri della mia Tavola Rotonda”. Un piccolo frate romano, Diego Oddi, uomo «del silenzio», uomo di carità, apostolo di bontà e di buon esempio; un frate questuante. Un uomo pienamente di Dio che ha vissuto nella consapevolezza che l’Amore trova la sua espressione suprema sul legno della Croce! Frà Diego, si è sottratto al fascino del potere e del mondo per abitare questa storia senza dominarla. Frà Diego: un uomo fragile come tanti, ma con la presenza di Lui che lo riempì di quella carità e di quella speranza che non muore mai. La sua è una testimonianza attuale per il mondo e per noi che siamo spettatori (purtroppo) di un doloroso vuoto che di Dio c’è nella società e nel cuore dell’uomo e che sembra risucchiarci nel gorgo del nulla! Come quest’umile frate questuante saremo pienamente noi stessi, se diverremo pane che si spezza per essere mangiato da quanti quotidianamente incontriamo! Parlando di Frà Diego, San Giovanni Paolo II, che lo beatificò in Piazza San Pietro quel 3 ottobre 1999, disse che «alla scuola di san Francesco, egli apprese che nulla appartiene all’uomo se non i vizi ed i peccati e che tutto ciò che la persona umana possiede è in realtà dono di Dio (cfr Regola non bollata XVII, in Fonti Francescane, 48). Durante il suo lungo servizio di questuante fu autentico angelo di pace e di bene per tutte le persone che lo incontravano, soprattutto perché sapeva porsi accanto alle necessità dei più poveri e provati. Con la sua testimonianza gioiosa e serena, con la sua fede genuina e convinta, con la sua preghiera ed il suo infaticabile lavoro il beato Diego indica le virtù evangeliche che sono strada maestra per raggiungere la pace».
Giuseppe Oddi, così si chiamava prima di abbracciare la vita religiosa, era nato da una famiglia di modeste condizioni il 6 giugno 1839 a Vallinfreda un grazioso paesino ai confini della provincia di Roma con l’Abruzzo arrampicato su una falda del monte Croce, a più di 800 metri sul livello del mare. Trascorse i primi 32 anni della sua vita nel paese natale aiutando la famiglia nel duro lavoro dei campi. A casa si respirava una fede profonda; una fede che senza ombra di dubbio modellò il cuore del giovane Giuseppe.
Da ragazzo era solito visitare diversi santuari. Un giorno, probabilmente per puro caso giunse al ritiro di Bellegra rimanendone profondamente impressionato. Aveva solo 21 anni. Il ricordo di quel luogo lo accompagnò per diversi anni fino a quando un giorno, a 25 anni, fece ritorno a Bellegra. La vista dei frati lo fece pensare al proprio futuro. L’incontro, poi, con il beato Mariano da Roccacasale (al secolo Domenico Di Nicolantonio, beatificato da San Giovanni Paolo II con Frà Diego Oddi il 3 ottobre 1999) al quale aprì il suo cuore e quell’esortazione apparentemente generica: «Sii buono, sii buono figlio mio, sii buono», lo portarono alla decisione di abbracciare la vita francescana. Giuseppe non era un fallito o un disilluso. Spesso è facile pensare che per un giovane di indole buona ed onesta la vita religiosa sia un angolo provvidenziale dove rifugiarsi, al riparo da tutto e da tutti. Giuseppe era guardato con un certo interesse dalle ragazze del paese. Tra queste una certa Agatina, la quale secondo la tradizione del paese, fa dono a Giuseppe di alcuni fazzoletti orlati e cifrati che se indossati dal giovane avrebbero rappresentato il suo sì. Tutto ciò faceva parte di un linguaggio intriso di semplicità e delicatezza. Però malgrado le sollecitazioni, gli inviti anche da parte della famiglia, la risposta da parte del giovane tardava a venire, e così, un giorno, stanco di tutto ciò si decise a parlare e rivolgendosi alla mamma Bernardina le dice: «Mamma, prendete quei fazzoletti e riportateli all’Agatina. Io non voglio sposarmi».
Il 30 maggio 1867 muore la mamma. Giuseppe visse così un momento abbastanza difficile: veniva meno uno dei riferimenti importanti della sua giovane vita. Egli, però, non si arrese. Ma si affidò e fidò di Dio, abbracciando la vita religiosa.
Frà Diego fu un semplice frate laico, cioè non sacerdote, ma ugualmente in grado di parlare altamente di Dio, suscitando in chi lo ascoltava stupore e meraviglia; istruendo nella fede persone umili e impegnando tutti nell’amore ed in un serio cammino cristiano.
L’obbedienza e l’umiltà lo fecero conoscere da tutti come il “fratello della questua”. Fu un uomo austero che faceva restare ammirati quanti gli si avvicinavano. Era solito camminare sempre a piedi lungo le strade fangose e sassose, con quei caratteristici sandali francescani: sotto la neve e la pioggia d’inverno, nella polvere e sotto la calura in estate. Se, poi, gli venivano offerti cibi, che lui definiva prelibati, tirava dalla tasca un pizzico di cenere per smorzare quella prelibatezza. Così avvenne, anche, con la ricotta portatagli da sua sorella Marianna, per la quale il povero frate aveva un debole. Spesso rifiutava anche quel letto caldo e soffice che alcuni benefattori avevano cura di fargli trovare quando giungeva in paese per la questua: immerso nella meditazione della passione di Gesù, passava, invece, le ore notturne in preghiera e disteso sul pavimento. Eppure leggendo questi aneddoti della sua vita verrebbe da sorridere, noi che spesso siamo schiavi del consumismo e bisognosi di ogni confort ci affrettiamo a giudicare queste cose come «cose del passato», non adatte ai nostri giorni. A guardare i mali del mondo c’è da inorridire, eppure ci sono, ancora, uomini che non smettono di indicare, di mostrare ad altri la strada per il Cielo. Frà Diego ha vissuto con sguardo profetico, riaffermando che il Vangelo è inizio del Cielo sulla terra, perché non ha ritenuto possibile nessun compromesso con le logiche del mondo.
Don Giuseppe Angelucci, parroco di San Vito Romano e successivamente vescovo di Città della Pieve, ha lasciato una testimonianza eloquente sul Beato. Quando Frà Diego faceva la questua a San Vito, domandava cortesemente a Don Angelucci di potersi confessare. Racconta il parroco, poi divenuto vescovo, che «le sue confessioni erano per me una predica di santificazione e un esempio commovente di perfezione interiore, congiunta, dovrei dire poggiata, al più vile sentimento di sé, che si manifestava anche nei segni esteriori di pentimento». Il suo intimo rapporto col Signore gli permise di saper leggere i cuori e prevedere eventi. Luisa Cacciotti, una poverissima donna, corre piangendo al ritiro perché suo marito, da due anni, non le ha fatto pervenire neppure una riga. Non ha notizie. Chiede, nella disperazione, di vedere e parlare col frate, il quale ormai è molto anziano. Il frate scende nella foresteria del convento, l’ascolta e la consola, suggerendole di tornare a casa perché il marito, proprio in quel momento, le stava scrivendo. Passano 15 giorni, ed ecco arrivare dall’America una lettera del marito: portava la data del giorno in cui Frà Diego aveva parlato con lei, consolando la sua disperazione.
Mancavano pochi giorni al compimento degli ottanta anni di vita, una vita lunga e faticosa la sua, resa ancor più dura dalle tante penitenze ed austerità. Morì cantando l’inno mariano popolare che gli piaceva tanto «Andrò a vederla un dì», un segno dell’amore indicibile con cui onorava la Vergine Maria. Era martedì 3 Giugno 1919.

Andrea Maniglia


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