Non siete più stranieri né ospiti ma concittadini dei santi e familiari di Dio: nessuno è escluso dall’amore di Dio

Formazione permanente Pro Sanctitate - Giugno 2018

IDEA LUCE
L’unità del corpo mistico genera e stimola tra i fedeli la carità: “E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra” (1Cor 12, 26). L’unità del corpo mistico vince tutte le divisioni umane: “Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 27-28).

“Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù”
. (Ef 2, 13-20)

San Paolo usa nella Lettera agli Efesini il “voi” per indicare che non siamo più stranieri né ospiti, ma familiari di Dio, dimora stessa di Dio. Il testo, al plurale, suggerisce un progetto comunitario, che coinvolge tutti, è il “voi” della Chiesa aperta.
I cristiani costituiscono una sola realtà. NESSUNO ESCLUSO…

“Queste parole di San Paolo non solo erano rivoluzionarie per i suoi tempi, ma sono scandalose ed eversive anche per i nostri. Sono una spada a doppio taglio che colpisce il corpo ecclesiale e quello sociale, ma sono anche salutari sia per la Chiesa che per la società civile.
Alla luce di queste parole, proviamo a fare l’analisi etimologica del termine “extracomunitario”, con il quale ci si riferisce spesso all’immigrato straniero che vive in Italia. Non manca articolo di giornale che non usi questa parola; la si sente nei dibattiti televisivi, nelle conferenze, nei discorsi della gente…
Ciò che è più grave è il fatto che la parola nel suo significato letterale indica chi è posto “fuori della comunità”, e così nell’immaginario collettivo, evoca la figura di uno che è escluso dalla cerchia di persone che si conoscono e di cui si ha fiducia. Si dirà che non è il caso di fare questione di parole ma di fatti, ed è vero, ma fino ad un certo punto: perché le cattive parole trasportano cattivi pensieri e i cattivi pensieri scatenano cattivi sentimenti, orientano modi distorti di percepire la realtà, suscitano atteggiamenti negativi nell’interpretarla e nel costruirla.
Di qui, una prima conclusione: “extracomunitario” è parola brutta e cattiva, da bandire dal vocabolario ecclesiale, ma anche da quello civile. Ma è soprattutto da bandire la mentalità che quella brutta parola veicola, una mentalità discriminatoria, in stridente contraddizione con la fede in un solo battesimo.
La logica evangelica ci ricorda che noi cristiani abbiamo un compito profetico da svolgere nella nostra città.
Dobbiamo anticipare il futuro cominciando nelle nostre case, nelle nostre imprese, nei nostri uffici a trattare da persone umane gli immigrati e se, sono battezzati, a trattarli da veri “fratelli nel Signore”.
Sì, a noi credenti è richiesto un supplemento di umanità e di carità cristiana. Siamo chiamati a
Conoscere i fenomeni
Ricordare la nostra storia
Impegnarci, per la parte che ci compete, per promuovere rispetto reciproco e responsabilità diffusa
Contribuire a rafforzare la credibilità e l’efficacia delle istituzioni
Dialogare riconoscendo le differenze, senza scivolare nel relativismo, ma ascoltandosi reciprocamente, senza pregiudizi.
(Vescovo di Rimini, 6 gennaio 2009)

“Vogliamo essere santi, avere il culto della santità, ma nel nostro tempo, nel nostro mondo, secondo le esigenze del nostro mondo; vogliamo essere i santi di questo nostro mondo moderno. Non siamo stati creati un secolo fa: non saremo creati fra un secolo. Viviamo in questo ambiente di oggi, abbiamo delle responsabilità nei confronti di coloro che ci circondano oggi, dobbiamo valorizzare e potenziare queste mistiche relazioni con i fratelli di oggi. Cerchiamo di vivere intensamente la vita del Corpo Mistico quale il Signore ce la offre oggi ed in questo ambiente. Noi siamo responsabili dei fratelli di oggi, forse in parte di quelli di domani, non certamente di quelli di ieri. Quell’arido ricurvarsi verso il passato e noioso lodare il tempo trascorso, è qualche cosa di essenzialmente sterile e, spiritualmente, anche dannoso”.
Guglielmo Giaquinta – Programma di Vita Spirituale)

Parole chiave per approfondire l’essere familiari di Dio
UNITÀ • CARITÀ • RICCHEZZA E SCAMBIO NEL DONO • DIVERSITÀ • NEI CARISMI • VALORIZZAZIONE • RICONOSCENZA • RECIPROCITÀ

“Chi nell’Eucaristia cerca solo il proprio gruppo, chi in essa e attraverso di essa non si inserisce in tutta quanta la Chiesa e non oltrepassa il suo punto di vista particolare, fa esattamente ciò che viene rimproverato ai cristiani di Corinto. Egli si siede per così dire con la schiena rivolta contro gli altri e distrugge così l’eucaristia per lui stesso e la disturba per gli altri. Egli fa allora soltanto la sua cena e disprezza la Chiesa di Dio”.
(Joseph Ratzinger, al tempo cardinale, commenta la prima lettera ai Corinzi)

“E cosa siamo noi? Siamo polvere che aspira al cielo. Deboli le nostre forze, ma potente il mistero della grazia che è presente nella vita dei cristiani. Siamo fedeli a questa terra, che Gesù ha amato in ogni istante della sua vita, ma sappiamo e vogliamo sperare nella trasfigurazione del mondo, nel suo compimento definitivo dove finalmente non ci saranno più le lacrime, la cattiveria e la sofferenza.
Che il Signore doni a tutti noi la speranza di essere santi.
Ma qualcuno di voi potrà domandarmi: “Padre, si può essere santo nella vita di tutti i giorni?” Sì, si può. “Ma questo significa che dobbiamo pregare tutta la giornata?” No, significa che tu devi fare il tuo dovere tutta la giornata: pregare, andare al lavoro, custodire i figli. Ma occorre fare tutto con il cuore aperto verso Dio, in modo che il lavoro, anche nella malattia e nella sofferenza, anche nelle difficoltà, sia aperto a Dio. E così si può diventare santi. Che il Signore ci dia la speranza di essere santi. Non pensiamo che è una cosa difficile, che è più facile essere delinquenti che santi! No. Si può essere santi perché ci aiuta il Signore; è Lui che ci aiuta.
È il grande regalo che ciascuno di noi può rendere al mondo. Che il Signore ci dia la grazia di credere così profondamente in Lui da diventare immagine di Cristo per questo mondo.
La nostra storia ha bisogno di “mistici”: di persone che rifiutano ogni dominio, che aspirano alla carità e alla fraternità. Uomini e donne che vivono accettando anche una porzione di sofferenza, perché si fanno carico della fatica degli altri. Ma senza questi uomini e donne il mondo non avrebbe speranza. Per questo auguro a voi – e auguro anche a me – che il Signore ci doni la speranza di essere santi. Grazie!”
(Papa Francesco, 21 giugno 2017, Udienza Generale)

“Torniamo ai due discepoli di Emmaus; quali sono i passi attraverso i quali quello straniero, Gesù, diventa ospite? Prima di tutto, attraverso un cammino condiviso nel quale lo straniero dialoga con i due di Emmaus.
La strada fatta assieme animata dalla parola, dal dialogo, è uno dei più grandi strumenti dell’ospitalità. Il dialogo nel quale l’altro è accolto nella sua diversità e la sua parola non è rifiutata a priori ma è ascoltata, anche quando è parola che provoca e che interroga. Nel caso dei due di Emmaus in questo dialogo si scopre che l’altro è addirittura portatore della Parola di Dio”.
(Lectio magistralis di Luca Mazzinghi
Festival Biblico Bassano del Grappa 28 maggio 2010)

NESSUNO ESCLUSO…. con la priorità essenziale per i poveri

Nella Caritas in Veritate Benedetto XVI ricordava che la mancanza di fraternità è una causa decisiva della povertà. Per questo molte società sperimentano profonde povertà relazionali, per la carenza di solide relazioni familiari e comunitarie, e registrano la crescita di disagio, emarginazione, solitudine e dipendenza patologica.

Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è avarizia.
(Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa)

Spunti di riflessione, per crescere insieme…
• Siamo consapevoli della nostra dignità cristiana, di essere cioè a pieno titolo “familiari di Dio”?
• Accettiamo la fatica e la sofferenza che comporta il “venire edificati insieme”?
• Cosa manca alla nostra famiglia spirituale perché ognuno si senta più amato?
• Quale è la nostra relazione con la necessità del fratello?

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