Il dono del coraggio

Editoriale


Domanda a Dio il dono del coraggio: partiamo da questa bella esortazione del Santo Padre che riportiamo nella parte dedicata al suo insegnamento. Il coraggio, infatti, come diceva Don Abbondio “uno non se lo può dare”. Può però chiederlo in dono al Padre. E soprattutto può aspirare ad esercitarlo, invece di crogiolarsi nella sua paura facendone sinonimo di saggezza. Noi si vive in un mondo – quello nostro, sviluppato, sul piano materiale mai così sicuro in tutta la storia umana – che pare quasi essere orgoglioso della sua propria paura. I giornali riportano continuamente dichiarazioni di persone che affermano di avere paura e sembrano compiacersene.
Ora, “mistica della fraternità”: cosa ha a che fare con il tema del coraggio sopra ricordato? Ci soccorre il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta: “È mistica…Non vergognarsi, non conformarsi, non mimetizzarsi quando ciò non sia richiesto dall’ideale; non aver paura delle difficoltà e non arrendersi; non cedere di fronte alle indebite pressioni che possano venire anche dalla nostra viltà; saper affrontare tutto il peso di stanchezza e lavoro; non sfuggire al rischio”.
Sono tutte parole che giustificano la nostra apertura sul coraggio, che derivano dal “non avere paura piccolo gregge” di Lc 12, 32.
E quali sono allora i luoghi della paura che dobbiamo respingere? Quelli della nostra socialità, partendo proprio, perché no, dalla sua istituzione primaria, la famiglia: paura, per esempio, di praticare e diffondere modelli educativi che sono contrari al pensiero dominante. Tipo che i bambini sono maschi e le bambine sono femmine, per dire: sta quasi diventando provocatorio affermarlo, in attesa che diventi sovversivo anche ricordare, che so, che l’acqua si trasforma in ghiaccio alla temperatura di 0 gradi centigradi.
I luoghi della nostra socialità: la nostra città. Occorre ricordare qui la frequenza di episodi di cronaca che riportano violenze, odio, risentimenti diffusi nelle nostre città? Sbagliamo forse attribuendo gran parte di essi proprio alla paura? Ebbene, si, questa grande paura non è ingiustificata: negare l’esistenza di problemi anche gravi con qualche frase fatta, magari pronunciando qualche maledizione biblica sulla mancata accoglienza significa dare una testimonianza quanto meno limitata se non distorta: ricordarsi sempre di usare la razionalità nell’analisi del reale.
Ma tanto più perché essa stessa sembra in qualche modo comprensibile, tale paura si deve combattere: e usiamola pure, questa parola, che pure essa sembra diventata un termine provocatorio e politicamente scorretto.
Ecco, “Abbiate il coraggio di attraversare le città. Passate tra le folle nel nome di Gesù, andate diritto per la via dell’obbedienza della fede… Le nostre città hanno bisogno di voi, non abbiate un’idea della fede troppo intimistica”: sante parole del mai abbastanza compianto Cardinale Martini.
È veramente molto bella e significativa questa parola del grande pastore milanese, che “le nostre città hanno bisogno di voi”. Anche qui, naturalmente, nessun compiacimento autoreferenziale e, sempre, uso della razionalità come della grande virtù dell’umiltà. Ci dice Papa Francesco: “abbi sempre il coraggio della verità, però ricordati: non sei superiore a nessuno”.
La fraternità allora si può comporre non in declamazioni moralistiche ma in una condotta il più possibile concreta, che sappia evitare da una parte il farisaismo, dall’altra la tentazione di un silenzio che spesso colpevolmente confondiamo con la misericordia: osserva il nostro Fondatore: “Come è possibile parlare di una fraternità che deve essere spinta sino al massimo dell’amore quando siamo chiusi in strutture che sono l’affermazione più sfacciata dell’egoismo e a volte dell’odio e non riusciamo quindi a sentirci fratelli?”. Non denunciarle, queste strutture, se possiamo permetterci di chiosare il Servo di Dio, sarebbe tragico.
Una cosa è certa, e ci farà bene ricordarlo: se dovessimo aspettare di essere senza alcuna macchia per poter annunciare credibilmente l’amore del Padre ai nostri fratelli, allora saremmo sempre muti. Cosa deve aver pensato di sé stesso il primo dei predecessori di Francesco dopo il canto del gallo? Eppure ha parlato: meglio, non ha avuto paura di parlare: forse perché annunciava il perdono, prima di tutto; annunciava quello che è davvero il contrario della paura: l’amore. “Dio ha tanto amato il mondo da dare per esso il Figlio suo Unigenito” (Gv 3, 16).
Paura? È ancora il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta che ci ricorda che “tutti noi siamo chiamati alla santità, siamo i santi di Dio… il Signore ci vuole bene, ci vuole assistere, ci sta accanto.” Allora, ecco, il coraggio uno non se lo può dare, ma il Signore sì, può darlo: “Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato… Su di lui non trionferà il nemico” (Sal 89).

Alberto Hermanin

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