La pedagogia del deserto: verso un uomo nuovo

APPROFONDIMENTI

 

Il tema del deserto è affascinante. L’esperienza vissuta in esso, anche per breve tempo, è sempre carica di emozioni che lasciano indelebile il ricordo.

È impressionante il fatto che Dio lo abbia scelto come luogo di grazia, tempo per far gustare l’intimità concessa alla sua creatura, come percorso privilegiato per mettere alla prova la fede dei suoi eletti e per condurli alla conversione. Le parole del profeta Osea ci rivelano l’interesse e la passione di Dio che, grandemente innamorato, vuole salvare la sua creatura a ogni costo: “Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto” (2, 16-17).

In quella sabbia, per noi dal volto insignificante, è nascosto il segreto dell’amore misericordioso di Dio che ci attende per “stendere il lembo del suo mantello… pronunziare il giuramento dell’alleanza e farci diventare suoi” (cfr Ez 16, 8 e seg.). In quel mare sconfinato di aridità, di vuoto e di silenzio non vi è la morte, ma semi di speranza sicuri. Quanti percorrono le vie del deserto diventeranno nuovi.

Per la Scrittura il deserto è un itinerario spirituale. Lo percorse Abramo, maturando la sua fede fino a divenire “padre di tutti i credenti”, lo visse Mosè, guida di liberazione d’Israele dalla schiavitù di Egitto; lo conobbe Elia il profeta, come tempo di preparazione per l’incontro con Dio sul monte Oreb (1Re 19, 1-8); lo abitò Giovanni Battista per annunziare la venuta del Messia (Mt 3, 1-12); lo scelse Cristo per prepararsi alla sua missione di Redentore e vincere anche per noi le tentazioni del demonio  (Mt 4, 1-11); vi si ritirarono i Padri dell’antica storia dell’Oriente per vivere un’intensa vita di preghiera e di penitenza.

Ci chiediamo, perché è così importante la realtà del deserto? Qual è il suo segreto? Quale beneficio si ricava dall’esperienza di vita in esso? Prima di cercare la risposta ai nostri interrogativi ritengo necessario accogliere la logica evangelica del “chi si umilia sarà esaltato” ed equipaggiarci per il nostro itinerario, con la verità annunziata ai Corinzi dall’apostolo Paolo su l’agire divino: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1, 27-29).

In realtà, l’azione pedagogica del deserto è di grande utilità formativa in vista dell’uomo nuovo che siamo chiamati a costruire in noi. Si entra nel deserto attraverso la porta delle beatitudini: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6, 20). Verità che ci rivelano le esigenze sconvolgenti del Vangelo e che conducono ad assimilare fino in profondità i pensieri e la vita di Cristo Gesù, il Figlio diletto del Padre. Dalla sterminata distesa arida del deserto ci è dato cogliere quanto la saggezza greca chiedeva a ogni uomo desideroso di raggiungere la maturità: “Conosci te stesso”. Ed è così: immerso in quel mondo di sabbia, l’uomo riscontra la sua identità: fragile, bisognoso di tutto e di aiuto. Rimanendo solo, la sua esistenza sarà squallida e improduttiva. In quell’ambiente si impara cosa significhi veramente la povertà e come vivere da poveri. Tutto diventa grazia. Ci sarà di aiuto lo spirito di umiltà e di semplicità che genera nel nostro animo la gratitudine e l’amore alle piccole cose da rispettare e custodire.

Il deserto ci pone nell’ambiente più idoneo per l’ascolto. In ebraico la parola deserto è midbar che significa assenza di parole. Dove tutto è silenzio e distante dai rumori e dal mondo degli altri, solo la Parola può raggiungerci; e viene dall’alto. Il deserto, così, mette in preghiera. In questa dimensione, l’uomo trova il suo partner privilegiato: Dio stesso. Il bisogno di pregare, aiuterà a mettersi in ascolto della Parola che è “spirito e vita” e a presentare le necessità con suppliche e il grido del povero. Imparerà a guardare e a parlare col Cielo, che in ebraico si dice shamaim; cioè, fatto di acqua. E il Signore darà le sue risposte, con la pioggia delle sue grazie, come un giorno, con la “manna” e le “quaglie” (cfr Es 16, 13-14).

Nel deserto bisogna camminare insieme. La comunione è un bene grande. Ci si integra, ci si aiuta e ci si completa reciprocamente. Il Signore l’ha richiesto con insistenza, fino a consegnarci il “comandamento nuovo” (Gv 13, 34) e a farne la preghiera accorata al Padre, per essere “una cosa sola” (Gv 17, 20-26), ad immagine della loro comunione trinitaria.

Nel deserto ogni incontro ci ripropone la parabola del buon samaritano.

Non si può lasciare solo nessuno. Bisogna mettere in pratica le energie che l’amore sa scoprire nel profondo del suo essere per nuove soluzioni ai diversi problemi che si presentano.

Vivere spiritualmente le dimensioni del deserto è certo fatica. Molto dobbiamo eliminare per camminare spediti e per essere sempre capaci di andare avanti. Nel deserto non ci si può fermare. Nella fatica si matura. Il deserto ci chiede ancora di essere vigilanti: tanti pericoli e tante difficoltà si presentano ogni giorno. Per questo dobbiamo farci trovare preparati ad evitarli o ad affrontarli. Guardare avanti è un segreto del cammino e soprattutto guardare il Cielo, seguire la stella polare, per non perdere l’orientamento. Si sa che nel cammino spirituale la stella polare è Cristo, luce che non tramonta. “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

Il Concilio Vaticano II ci aiuta a fare una proficua riflessione in merito: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è «l’immagine dell’invisibile Iddio» (Col 1, 15), è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi, a causa del peccato.

Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime” (GS, 22).

Animato da questa verità, il Concilio afferma ancora poco più avanti: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS, 41).

Pio Vittorio Vigo – Vescovo emerito di Acireale

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