Amoris Laetitia

“Non consiglio una lettura generale affrettata” (AL, 7). Se lo stesso Santo Padre sconsiglia una lettura affrettata della Esortazione Postsinodale, ben difficile è ‘recensirla’ in modo anche lontanamente esaustivo. Sia tuttavia lecito, pur nella consapevolezza della sua estensione – concreta e ancor più concettuale – esporre, accanto a qualche citazione testuale, la prima sintetica impressione prodotta dalla sua lettura.

In primis, sembra quasi che il Papa raccomandi cautela proprio nel parlarne: che abbia in mente le legioni di suoi presunti interpreti? Ce ne sono infatti moltissimi decisi a ricoprire il suo pontificato di significazioni di cui è molto ghiotta un certo tipo di stampa.(1) L’ascolto del Magistero è, evidentemente, altra cosa.

Andiamo avanti: Sempre con l’avvertenza della impossibilità di fare opera nemmeno lontanamente esaustiva, si possono citare come di particolare interesse tre affermazioni che si ritrovano in Amoris Laetitia.

1 AL 150: “Dio stesso ha creato la sessualità, che è un dono meraviglioso per le sue creature”. Non si tratta di un concetto particolarmente nuovo per la Chiesa postconciliare: pure è giusto riconoscerne l’importanza pastorale che spazza via quanto ancora fosse eventualmente rimasto di una interpretazione della sessualità che ha fatto i suoi danni nella vita di tutte le comunità cristiane, e non solo cattoliche. Sarebbe impossibile non “partire” proprio dal sesso se si deve cominciare a parlare di famiglia ad un mondo che sembra volerla assalire da ogni parte. Il Santo Padre è esplicito su questo in ogni senso. AL 153: “Nel contesto di questa visione positiva della sessualità, è opportuno impostare il tema nella sua integrità e con un sano realismo… In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?

2 AL, l’intero capitolo settimo, “Rafforzare l’educazione dei figli”. Delle moltissime preziose cose in esso contenute si vuole evidenziarne solo una. AL 275: “Quando i bambini o gli adolescenti non sono educati ad accettare che alcune cose devono aspettare, diventano prepotenti, sottomettono tutto alla soddisfazione delle proprie necessità immediate e crescono con il vizio del “tutto e subito”. Questo è un grande inganno che non favorisce la libertà, ma la intossica”. E al 277 se ne traggono conseguenze che a noi sembrano di grande portata: “Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano “anestetizzati” verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite”.

Non si vuole piegare la ricchezza del Magistero papale ad alcuna vena polemica. Pure è quasi irresistibile chiedersi se la disastrosa ottusità morale delle società occidentali di fronte ai drammi terribili che sono sotto i suoi occhi non risalga a questa pratica ‘anestetica’ pervicacemente seguita dal modello educativo largamente prevalente in essa.

3 AL 37: “Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”.

A nostra impressione, questo passo presenta in modo sintetico quasi l’intera problematica sottesa alla “questione famiglia” di cui si sono occupati i due sinodi precedenti la Amoris Laetitia. Osserviamo come il Papa, citando le questioni bioetiche e morali, e in definitiva dottrinali, non ne contesti l’importanza ma le definisca per quello che realmente sono, opera dell’intelligenza umana sulla Rivelazione. Una loro auto-sufficienza renderebbe in qualche modo “statica” la visione della vocazione all’amore matrimoniale, una sorta di peso da sopportare per tutta la vita. Così evidentemente non è, e non è grazie a quella apertura alla grazia che lo rende invece un cammino dinamico di crescita e realizzazione.

Un certo tipo di approccio al Magistero Papale – un fenomeno particolarmente vistoso in questo pontificato – prevede che in esso si cerchino le conferme di una proprio approccio quasi ad appropriarselo. Desideriamo guardarci da questo rischio. Pure, non possiamo fare a meno di ricordare, nell’esaminare proprio questo aspetto cruciale, quanto scriveva il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta nel suo inedito Famiglia comunità d’amore.

“Il matrimonio sacramento è, per gli sposi, il luogo privilegiato in cui avere non solo la grazia di santità personale ma, soprattutto quelle indispensabili per attuare la difficile relazione tra i coniugi e di questi con i figli, che costituiscono la vita della famiglia… È certo che la grazia che nasce dal sacramento è capace di far superare ogni difficoltà e avviare verso una autentica santità.

La famiglia è santa perché la grazia:

-          suscita l’amore soprannaturale tra i due coniugi;

-          rende soprannaturale un sano senso di gelosia che è 1’amore che avvolge e protegge 1’altro coniuge;

-          fa vedere il dono dei figli come il mezzo scelto da Dio stesso per costruire la sua Chiesa santa. Da genitori santi nascono infatti figli chiamati alla santità che devono formare la Chiesa santa di Dio;

-          dà all’amore soprannaturale che deve legare i membri della famiglia il sapore dolce del rapporto di amore naturale legato alla consanguineità. La santità diventa quasi connaturale e assai più facile;

-          fonda, infine, tutti i membri di un’unica famiglia, in un unico amore e in una preghiera congiunta verso il Padre. La famiglia diventa realmente una piccola chiesa”.

La successione dei verbi usati da Giaquinta per descrivere l’azione della grazia nel sacramento matrimoniale rende, ci pare, esemplarmente quella funzione di cammino dinamico di crescita che il matrimonio comporta. Ed è appunto in questa presenza dinamica la chiave di un destino matrimoniale agito e non meramente subìto dagli sposi.

Nella lettera di indizione dell’Anno della fede, Benedetto XVI aveva usato proprio l’espressione che dà il titolo alla esortazione apostolica, Amoris Laetitia: “La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della Sua Incarnazione, del Suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione”.

Testimone del Risorto è la famiglia cristiana, e nient’altro: tanto più testimone quando non di impossibili perfezioni essa può fregiarsi, ma di lacrime che invocano “Quei che volentier perdona”. E aggiunge, un poeta cattolico di centinaia e centinaia di anni fa, “ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”. Per concludere, a proposito di insistenza su questioni dottrinali e morali, che “Per lor maladizion sì non si perde, che non possa tornar, l’etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde” (2).

Alberto Hermanin

(1) http://open.reply.it/mobile/r/pocket/dalquotidiano/opinioni/2016/04/09/news/francesco_e_la_riforma_dell_amore-137231143/?source=RPLUSMOB_Repubblica riporta il commento di Alberto Melloni. Egli vede nella esortazione, fra l’altro, una “maturazione necessaria perché il magistero inizi a ‘trasfigurarsi’ per non essere più ‘mera difesa di una dottrina fredda e senza vita”. Il corsivo fa riferimento ad AL 59, ma il professore di Bologna con mirabile accorgimento trasforma il ‘non diventare’ del testo papale nel ‘non essere più’ del suo. Adattamento esemplare, secondo il quale l’intero magistero ecclesiale “dal concilio di Trento in qua era chiuso in una gabbia giuridico- filosofica strettissima”. È solo uno dei moltissimi esempi che si potrebbero citare da cui sembra di evincere che il richiamo alla misericordia divina sia nato nella Chiesa Cattolica ad opera sostanzialmente del Concilio Vaticano II e dell’attuale pontificato. Una tesi suggestiva che lasciamo tutta ai suoi sostenitori.

Benedetto XVI, che non risulta scomunicato, anche se per Melloni “aveva torto”, aveva notato nel Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, come “l’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare”. E sembra che proprio questo sia l’obiettivo tenacemente perseguito da un certo numero di commentatori: a tale proposito v. infra “Categorie drogate”, pag. 19

 

(2) Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, Canto III

I commenti sono chiusi.