Maternità contagiosa

VITA ECCLESIALE

Ogni giorno preghiamo “per i bisogni attuali della Chiesa e del mondo”. Offriamo la nostra giornata sentendoci parte di un organismo vivente, che dona vita ad ogni uomo che abita la terra. In un mondo dominato dall’indifferenza, ferito dall’ineguaglianza, dalla guerra e dalla povertà, disumanizzato, un mondo orfano, la Chiesa è chiamata ancora oggi ad annunciare l’Amore, come luogo ininterrotto di alleanza per ogni persona, della cui condizione di vita intende farsi interamente carico. “L’alleanza non è un fatto statico, per cui, una volta acquisito, rimane sempre uguale: la vita, la realtà, il mondo, l’umanità, cambiano, e l’alleanza deve essere adattata alle nuove esigenze, al mondo nuovo, al nuovo popolo, alla nuova civiltà”[1]; così il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta guardava ai nuovi scenari che già trenta anni fa si delineavano (intuendone con sguardo acuto le devastanti criticità, ma sempre conservando un fiducioso atteggiamento di ottimismo antropologico).

«Sono profondamente preoccupato dalla decisione della California di permettere ai dottori di aiutare i loro pazienti a uccidersi», dice l’arcivescovo di Los Angeles, José Gómez «La legge non legalizza “l’aiuto nel momento della morte” ma autorizza un dottore a scrivere una prescrizione con l’obiettivo dichiarato di uccidere un altro essere umano». Si parla tanto di scelta ma «i più poveri non avranno “scelta”».

Il Patriarca di Baghdad Mar Sako: “Senza i muri visibili e invisibili che dividono i nostri Paesi in funzione della religione, lingua o etnia, per non parlare di corruzione, ingiustizia, disoccupazione e povertà, l’ideologia jihadista non avrebbe mai fatto presa. Il “diritto di cittadinanza” reale e concreto per tutti i Paesi del Medio Oriente, inserito in un contesto politico, può rappresentare la soluzione ideale per mettere fine ai conflitti settari e confessionali”.

La Conferenza episcopale dei Paesi scandinavi: “Noi, vescovi dei Paesi nordici, vogliamo ricordare a tutti i nostri fedeli che abbiamo l’obbligo di vivere in modo consapevole i valori cristiani dell’amore al prossimo e della misericordia e di opporci a ogni forma di razzismo, xenofobia e discriminazione”.

“Guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali” ha detto Mons. Nicolas Djomo, Vescovo di Tshumbe e Presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo. “Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa”.

 

I bisogni del mondo. Un bisogno smisurato di amore. C’è un grande senso nel mondo di orfanità, ci dice oggi Papa Francesco. E ci ricorda che la Chiesa è come Maria, è madre, una madre che è con noi, ci protegge, ci accompagna, ci aiuta, anche nei momenti brutti. Gli atteggiamenti di maternità, la mitezza, la bontà, l’accoglienza, sono caratteristici della madre, Maria, e nello stesso modo della madre Chiesa: “la Madre Maria e la madre Chiesa sanno carezzare i loro figli, danno tenerezza. Pensare la Chiesa senza questa maternità è pensare a un’associazione rigida, un’associazione senza calore umano, orfana”[2].

 

La Chiesa non si rispecchia anzitutto nel Papa o nei vescovi, nella gerarchia o nei laici, ma nella donna di nome Maria. Ella dà bellezza e grazia al volto della Chiesa con il quale Dio vuole attirare a sé tutti gli uomini.

Ancora una volta oggi la Chiesa è chiamata a confermarsi madre di misericordia che apre le porte del perdono, esce dalle proprie mura, invita un’umanità ferita ad un abbraccio caloroso che rigenera. Quante chiese chiuse ad orario nelle nostre città, quanta programmazione, organizzazione … e invece il Papa ci dice che le chiese chiuse sono come musei, mentre “dove c’è maternità e vita c’è vita, c’è gioia, c’è pace, si cresce in pace. Quando manca questa maternità soltanto rimane la rigidità, quella disciplina, e non si sa sorridere”[3]. Quante comunità, parrocchie, movimenti, in ogni parte del mondo si stanno lasciando interrogare da queste parole! È una maternità contagiosa: la nostra “ansia” di annuncio narra la bellezza dell’incontro con l’altro e della gioia di vivere il Vangelo?

Lo si è ricordato spesso, siamo ormai in una società scristianizzata, molte persone vivono di fatto in condizioni in cui, ancora prima che del fatto religioso, è già difficile parlare di valori condivisi: servono menti aperte e cuori aperti. Non serve tirare pietre su quanto ci separa, ci dice ancora Francesco “diamoci la mano: serve il coraggio di parlare di quello che abbiamo in comune. E poi possiamo parlare anche delle nostre differenze: parlare, non litigare, non chiuderci in un gruppetto. Dobbiamo lavorare insieme. A Buenos Aires c’era una parrocchia nuova in una zona povera, il parroco mi ha chiesto di andare a conoscere i giovani che costruivano i locali parrocchiali. Sono arrivato e li ho conosciuti. C’era un architetto ebreo, un comunista, un cattolico … tutti diversi ma tutti lavoravano insieme per il bene comune: questa è amicizia sociale, cercare il bene comune. L’inimicizia sociale distrugge. Il mondo si distrugge per l’inimicizia, e quella maggiore è la guerra. Oggi il mondo si distrugge per la guerra perché si è incapaci di parlare. Negoziamo e vediamo su cosa accordarci. Quando c’è divisione, c’è morte. Vi chiedo: siate capaci di creare amicizia sociale”[4].

 

Amicizia sociale, è un concetto universale: prima dell’annuncio di fede con la parola, una testimonianza di vita, apertura all’altro perché prezioso così com’è. Servono cuori aperti e menti aperte. Tra i popoli dilaniati dalla guerra, nei paesi poveri del mondo così come nelle nazioni occidentali ripiegate su se stesse e minate nelle fondamenta della propria identità antropologica, ovunque, la Chiesa – la Gerarchia come ogni singola comunità cristiana – non può non offrire, come madre accogliente, agli uomini e alle donne di oggi una carezza, l’ascolto, un accompagnamento, “perché tutti devono poter trovare in noi un aiuto per arrivare là dove il piano di Dio li vuole condurre”[5].

Non sono solo esortazioni, non possiamo non notare che ci sono dei cambiamenti. Il costante richiamo di papa Francesco alla dimensione della povertà evangelica, della sobrietà, dell’accoglienza incondizionata, sta avendo i suoi effetti di novità nelle Chiese locali verso una modalità di amore concreto e radicale: consideriamo, ad esempio, come la Chiesa italiana ha risposto all’appello lanciato da Francesco per i migranti. Effetto travolgente del grido accorato del Pontefice in ascolto del dolore di chi è costretto ad abbandonare le proprie radici: l’invito di papa Francesco alle parrocchie perché accolgano ciascuna una famiglia di profughi[6] in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni ha avuto un’eco profonda. Le sue parole, pronunciate all’Angelus del 6 settembre scorso, hanno immediatamente suscitato una vera mobilitazione di diocesi e parrocchie, e già soltanto la mattina dopo numerosi vescovi hanno rivolto il loro appello a parroci e fedeli nella consapevolezza che «il Papa ci chiede di fare qualcosa in più rispetto a quanto compiuto finora».

La Chiesa nel mondo testimonia sempre più autenticamente la tenerezza di Dio Padre e la sua vicinanza ad ognuno, soprattutto a chi è più debole e solo. E Maria, la Madre della Chiesa, la Madonna della tenerezza, è l’aiuto e il modello di questa testimonianza.

Paola Assenza * Associata Movimento Pro Sanctitate

[1] G. Giaquinta, L’alleanza

[2] Papa Francesco, meditazione nella cappella della domus sanctae Marthae 15 settembre 2015

[3] Ibidem

[4] Saluto del Santo Padre ai giovani, La Habana, 20 settembre 2015

[5] G. Giaquinta, La chiamata (Esercizi Spirituali, 1976), 1978, ed. Pro Sanctitate

[6] http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/risposta-diocesi-invito-papa-accoglienza-migranti.aspx

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