Gioia di vivere il Vangelo

Qualche riflessione dialogando con Guglielmo Giaquinta

Da qualche anno ‘frequento’ gli Scritti di Giaquinta e la prima cosa che mi viene da dire è che l’espressione “Gioia di vivere il Vangelo” non appartiene al suo lessico, ma non si può certo dire che sia estranea al suo pensiero e al suo ‘sentire’ spirituale. Nell’esperienza spirituale di Giaquinta, vivere il Vangelo si svolge sul duplice registro desiderio-nostalgia, ed è anzitutto ‘incontro’, presenza, dialogo; nella sua sensibilità mistica, egli vive infatti l’incontro con Dio immerso pienamente in questa dinamica di attrazione che l’amore di Dio esercita in maniera irresistibile. In seconda battuta, è facile accostare alla ‘gioia’ il tema del sorriso, ovviamente inteso non come semplice espressione esteriore, ma nella sua valenza antropologica e spirituale, che il Fondatore del Movimento Pro Sanctitate ha sintetizzato con l’espressione, programmatica e forse un po’ provocatoria, “Sorridere sempre”. Su questi due poli, cercherò di immaginare cosa direbbe oggi a noi il Servo di Dio a commento del tema proposto.

Tra nostalgia e desiderio

In un breve video1, alla domanda “Che cosa è la preghiera?”, Giaquinta risponde descrivendo la dinamica della preghiera come un movimento dominato dal desiderio e dalla nostalgia. Si entra nella preghiera spinti dal desiderio di incontrare Colui dal quale sappiamo di essere amati2, attratti dal suo stesso amore, si sosta con Lui, lieti di sperimentare la sua presenza, di poter con Lui dialogare o, più semplicemente, in Lui fermarsi e riposare; si esce dalla preghiera portando dentro il cuore un profondo segno dell’incontro vissuto, che impregna tutta la vita, e un forte desiderio, una intensa attesa di rinnovare l’incontro.

L’incontro con Gesù avviene per ciascuno in maniera diversa, quasi personalizzata; ma è sempre incontro personale, incontro tra due volontà: quella dell’uomo in ricerca e quella di Dio, che attira a sé, attende, va egli stesso in cerca dell’uomo. Nella preghiera “Dammi da bere”, Giaquinta scrive: “Mi sono accostato a te, Maestro… e tu mi attendevi”. Le due volontà sono difficilmente separabili, sono così profondamente intersecate che non è facile capire con chiarezza chi prende l’iniziativa dell’incontro; ma, direbbe Giaquinta, è così bello che non è importante capire ogni singolo dettaglio, è il fascino del mistero che non si capisce, si accoglie, si com-prende, e penetra in profondità.

Prosegue ancora nella stessa preghiera: “Ma ora, Signore, io ti ho incontrato ed almeno io voglio dissetarmi in te e lasciare che la tua vita penetri totalmente l’anima mia”; queste parole ‘tradiscono’, svelano ciò che c’è nel cuore di Giaquinta: l’incontro con il Maestro assetato è l’esito di una ricerca appassionata, struggente, mai paga, che finalmente trova adeguata soddisfazione. Emerge da questa esperienza la consapevolezza che l’unica cosa che può soddisfare il desiderio profondo del cuore umano è Dio stesso, lasciare che la sua anima sia riempita della vita di Dio, da Dio che è Vita.

Un ulteriore passaggio ci è offerto dal Servo di Dio: “Né resterò ai tuoi piedi, nella dolcezza del bene trovato, ma scomparirò anch’io nel deserto in cerca di anime assetate”. La gioia di vivere il Vangelo si traduce nel desiderio di essere come Gesù, di essere Gesù che percorre, ancora oggi, i deserti del nostro mondo in cerca di anime assetate, per far scoprire all’uomo che c’è in lui la sete di amore, di verità, di vita vera, e Gesù ne è la fonte ed è “follia il cercarla altrove”. Parole forti, che esprimono bene la drammaticità della situazione dell’uomo del XXI secolo, che rischia il paradosso di essere incatenato, reso schiavo dal suo desiderio di libertà.

Sorridere sempre: una sfida alla tristezza

Ogni tanto propongo ai miei alunni di iniziare la lezione con un brainstorming: scrivo una parola sulla lavagna e chiedo loro di dire tutto ciò che viene loro in mente per associazione di idee, con risultati a volte comici, altre interessanti e originali, altre ancora banali e scontati. In qualunque modo vada, è sempre un punto di partenza. Se scrivessi la parola “gioia”, immagino che potrebbe venir fuori la parola “sorriso”, almeno me lo auguro! Non è scontato, infatti, perché credo che oggi la gioia sia un po’ in crisi, l’abbiamo persa un po’ di vista e il sorriso rischia di essere un puro movimento di alcuni muscoli facciali per nascondere il vuoto di una tristezza indicibile.

 

Anche perché, diciamolo con onestà, di motivi per essere tristi ne abbiamo a sufficienza, anzi di più, e sono così forti da farci dimenticare che ci sono anche motivi per gioire, di vero cuore. Ecco, forse è questo il punto: la gioia è in crisi perché c’è stato un livellamento linguistico che ha fatto perdere il significato alle parole; per cui ne conosciamo il suono, ne ricordiamo a grandi linee il significato letterale, ma non hanno più gusto e non rendono più ‘gustosa’ la nostra vita. A che serve dunque questo invito a sorridere sempre?! Più che una sfida suona quasi come una cinica beffa… ma in realtà nasconde qualcosa di più profondo, ha una radice che può rendere il sorriso una manifestazione divina.

Giaquinta conclude una preghiera, da lui scritta, con queste parole: “Saper sorridere sempre, nella gioia e nel dolore ad amici, nemici e indifferenti, è la grazia che ti chiediamo, o divino Sorridente del Calvario, per intercessione di tua madre santa Maria del sorriso”. Ho visto diverse persone reagire a queste parole alzando le spalle, quasi con rassegnazione nostalgica, come a dire che sarebbe bello riuscire a sorridere sempre, ma la vita è dura e ti strappa via il sorriso quasi con violenza. E fa male, perché porta via ogni volta un po’ di speranza. La via intrapresa da Giaquinta per parlare del sorriso è umanamente paradossale, ma spiritualmente straordinaria: la preghiera dalla quale sono state tratte le parole citate si intitola “Il Cristo del sorriso” e non si tratta del Cristo glorioso della Pasqua, ma del Crocifisso morente. Proprio lì, in quella situazione che è agli antipodi della gioia, proprio nel momento della massima desolazione, quando Gesù grida: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”, Giaquinta immagina che dal Cielo “un raggio invisibile trapassò quelle tenebre fino al cuore di Cristo: la risposta dell’amore del Padre”. Da qui nasce il sorriso del Cristo, dall’amore del Padre che illumina la notte della morte, della violenza, del rifiuto: la notte/morte non è la parola definitiva.

Scrive papa Francesco nella Evangelii Gaudium: “Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”. Parole che non hanno bisogno di commenti, ci vengono subito in mente volti e situazioni che riconosciamo descritti in queste parole; forse anche i nostri volti qualche volta hanno assunto lo stile di una Quaresima senza Pasqua. Ecco perché la gioia del Vangelo è una sfida alla tristezza che, troppo spesso, ricopre le nostre giornate: abbiamo bisogno di Pasqua, abbiamo bisogno di gioia, di una gioia forte, virile, che non si arrenda alle profezie di sventura. Chiedere la grazia di saper sorridere sempre significa accettare di essere i testimoni di quel raggio di luce che trapassa le tenebre.

Quale missione?

Non so se si possa annoverare tra le urgenze del momento storico presente, però mi sembra di ravvisare questa necessità: oggi siamo affetti da una sorta di ‘bulimia della novità’, in continua e vorace ricerca di oggetti, sentimenti, emozioni, suoni e visioni che non abbiamo ancora visto e che non vogliamo assolutamente perdere; e poiché abbiamo bisogno di sempre più spazio (mentale, affettivo, psicologico) per il nuovo, ciò che è più vecchio, anche se di qualche ora, non trova più posto nel nostro mondo interiore. Oggi più che mai, le possibilità di scelta, di relazioni, di connessioni, di comunicazione, reali o virtuali che siano, ci si presentano davanti in quantità infinita. Come scegliere? Sappiamo scegliere? Perché dover scegliere? Perché “tutto è lecito, ma non tutto mi giova”, scriveva san Paolo…

In un film3 uscito lo scorso anno, il giovane protagonista, Jonas, viene scelto dagli ‘anziani’ per un incarico molto importante e delicato da svolgere nella sua comunità: essere il nuovo “Accoglitore di memorie”, colui che custodisce la memoria di ciò che è accaduto nella storia dell’umanità (e che nel suo mondo si è scelto di dimenticare) e aiutare così le persone a comprendere il presente. Una delle caratteristiche per le quali Jonas viene scelto è per la sua ‘capacità di vedere oltre’. ‘Oltre’: significa al di là del grigiore delle apparenze, di ciò che è evidente, di ciò che c’è ora, vedere in maniera diversa, intuire il senso autentico delle cose, delle persone, degli eventi.

Questa è una possibile missione per i cristiani oggi: imparare la difficile (ma non troppo!) arte del discernimento ed esercitarla per se stessi e, se serve, anche per altri, custodire la memoria del passato e saper vedere oltre. Questa è la missione del profeta, del cristiano, del santo4 di oggi: stare nell’oggi, vivere in pienezza il tempo presente, sapendo di essere abitato da una Parola diversa, divina, che bisogna portare dentro la vita; avere uno sguardo che sa scrutare in lontananza e in profondità, che scorge il bene anche lì dove non si vede più per farlo emergere in tutta la sua forza e bellezza; saper sorridere sempre, perché la gioia del Vangelo è un dono per tutti.

Cristina Parasiliti * Oblata Apostolica, Associata del Movimento Pro Sanctitate

2 Come direbbe anche santa Teresa d’Avila, nella celebre definizione di preghiera riportata anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica: “L’orazione mentale, a mio parere, non è che un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati”; CCC 2709.

3  The Giver – Il mondo di Jonas, del regista Philip Noyce.

4 4 Cfr. G. GIAQUINTA, La santità, 51: “Quale dunque il santo di oggi? In primo luogo un uomo aperto, che abbia la capacità di cogliere il pullulare di bene, di ansie, di attese, di speranze, che sappia cogliere nei movimenti che attorno nascono, fioriscono e forse muoiono, la voce implorante dello Spirito, una creatura, cioè, aperta a tutte le suggestioni dello Spirito. Il santo moderno, quindi, deve avere un senso di ampiezza e di percezione dei valori positivi anche tra le realtà negative con il senso di ottimismo che nasce appunto dalla certezza che è lo Spirito che agisce, non dimenticando che anche la maturazione del mondo verso alcuni ideali è opera dello Spirito: è lo Spirito che agisce nel mondo, senza che questo ne abbia la percezione, spingendolo verso Cristo. Di qui la necessità di saper valorizzare gli aspetti positivi di un mondo che resiste allo Spirito. Secondo elemento è quello della gioia. Ormai il mondo è irretito di tristezza, di paura, di terrore, va cercando sguardi che siano pieni di serenità e di gioia: la felicità è la ricerca profonda del cuore umano. Se realmente crediamo in Cristo, se abbiamo trovato la nostra felicità in Lui dobbiamo emanare, ispirare gioia. Quante volte siamo tristi, abbattuti, pessimisti, non diamo serenità attorno a noi, non diamo gioia! Occorre avere la capacità di superare le piccole mille cose che a volte possono esserci nella vita di ciascuno per avere spazi più ampi, per dare quella gioia profonda che ci viene dal possesso di Cristo. Se tutti fossimo stati più seminatori di speranza e di gioia quante più persone ci sarebbero accostate a noi: avrebbero trovato ciò che esse cercano e cioè la felicità e la gioia”.

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