Fede e cultura

Il rapporto tra fede e cultura è sempre stato al centro della riflessione cristiana sin dai primi scritti e riflessioni proposte dai Padri della Chiesa. Il tema nei tempi più recenti ha preso nuovo vigore sollecitato dai cambiamenti rapidi imposti dai processi di modernizzazione, che rendono più evidenti gli squilibri esistenti tra le regioni del mondo, fanno emergere fenomeni migratori importanti che portano a diretto contatto popolazioni prima lontane, e impongono scambi sempre più facili e frequenti tra genti appartenenti a diverse culture e religioni.

San Giovanni Paolo II, nel discorso tenuto all’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1995, ricordava: “qualsiasi cultura è uno sforzo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell’uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita umana. Il cuore di ogni cultura è costituito dal suo approccio al più grande dei misteri, il mistero di Dio”.

Il Santo Padre non era nuovo a questo tema: in altre occasioni aveva sottolineato che: “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (discorso al Congresso nazionale del M.E.I.C., 16 gennaio 1982).

Joaquìn Navarro spiega bene il significato delle parole del Papa: “L’annuncio del Vangelo, per essere recepito e compreso, deve inculturarsi ([1]). … Una fede che non è capace di mostrare cosa essa c’entri con l’uomo e con la sua vita, con la sua ricerca e con le sue scoperte, è una fede debole. Con parole diverse, ma secondo una linea di pensiero del tutto analoga, troviamo lo stessa idea anche …nel Pontificato di Benedetto XVI, quando ama insistere nel presentare il cristianesimo come religione del Logos, amica della ragione, giungendo a dire in varie occasioni che il vero Dio non può essere un Dio senza ragione, un Dio che la metta fra parentesi o la contraddica. (Joaquín Navarro-Valls disponibile su www.disf.org/AltriTesti/Navarro.asp).

Il rapporto tra cultura e fede è per sua natura, dialettico. La tensione che caratterizza tale rapporto nasce dalla differenza fra i due oggetti che non possono essere confusi. Ma differenza non significa incompatibilità: cultura e fede “non sono fatte per ignorarsi, ma nemmeno per identificarsi, certamente sono obbligate a confrontarsi; la storia ci insegna ancora che dal loro non facile connubio, è nata per tanta parte la cultura dell’Occidente, la quale perciò porta in sé la memoria di un rapporto permanente, l’esperienza di esiti diversificati ed oggi l’attesa di nuovi confronti.” (Cesare Bissoli, Cultura e fede in prospettiva Cristiana).

Il Cardinale Scola[2] ci ricorda che se è vero che la cultura caratterizza l’uomo, essa è anche lo specchio della sua capacità di grandezza e dei suoi limiti; per questo ogni cultura deve essere necessariamente aperta ad altre culture e pronta a farsi interpellare da nuove domande, e da nuove sfide che provengono dall’esterno. La fede però non rappresenta una di queste altre culture, poiché al contrario, si pone in una posizione di alterità, proponendo a tutte le culture e a tutti gli uomini che incontra una riflessione sulla trascendenza. In questo senso tra fede e cultura deve esistere un dialogo fatto d’interrogativi e di tentativi di risposta, attraverso i quali si favoriscono trasformazioni, arricchimenti e allargamenti di orizzonte, destinati in ultima analisi a promuovere l’umanesimo nel mondo.

Quando sorge il conflitto? Il conflitto tra fede e cultura si apre nei casi in cui quest’ultima elimini la possibilità di considerare la dimensione del trascendente, fatto questo che spesso caratterizza i rapporti tra fede e scienza. Se, infatti, si considera il progresso scientifico e tecnologico come unica forma di conoscenza, poiché gli strumenti e i processi del metodo scientifico sono gli unici in grado di fornire risposte alle necessità dell’uomo, allora il dialogo si spezza, la fede viene degradata al rango di un credo legato alla propria esperienza individuale, non proponibile come messaggio universale, le forme di conoscenza legate alle diverse culture sono tutte sussumibili all’unica possibilità di conoscenza universale proposta appunto dalla scienza.

Nella sua Prolusione dell’Anno Accademico 2011-2012 alla Facoltà Teologica Pugliese, il Cardinale Ravasi propone una “mappa” antropologica, nella quale sottolinea quattro dimensioni fondamentali,: a) il principio personale: l’uomo è la relazione tra maschile e femminile (dimensione orizzontale) che diventa essere vivente perché riceve da Dio l’alito di vita che consente di avere una coscienza del sé e dell’altro da sé (dimensione verticale); b) il principio di autonomia che esclude qualunque teocrazia, impone all’uomo il rispetto delle leggi dello stato e della società ma gli impone di non esserne schiavo fino al punto di rinnegare gli elementi costitutivi della propria umanità (libertà, dignità, realizzazione della persona, rispetto della vita e dell’interiorità); c) il principio di solidarietà, perché l’uomo è veramente sé quando incontra la donna, carne della sua carne, essere umano, simile a lui. La solidarietà con l’umanità, (“l’adamicità comune”) fatta di giustizia e amore è costitutiva dell’essere uomini; d) il principio di verità, che non si identifica con il potere dell’autorità civile o religiosa di imporre una norma, così che essa diventi oggetto mutevole nel tempo e nello spazio, la cui forza risiede nel potere (religioso o civile) che la sostiene e la impone. Al contrario il principio di verità riporta all’interno della visione antropologica la trascendenza: “la verità ci precede e ci eccede; essa ha un primato di illuminazione e non di dominio … compito dell’uomo è essere pellegrino all’interno dell’assoluto della verità” (Ravasi, Prolusione, cit.).

Il dialogo tra fede e cultura dunque interviene attraverso il confronto su queste dimensioni antropologiche. L’“inculturazione” consiste nel far sì che l’antropologia cristiana entri a far parte dell’esperienza umana, ovunque essa si manifesti e in qualunque modo essa si esprima. La fede non s’identifica con una specifica cultura, ma entra in rapporto e illumina del suo messaggio tutte le culture. Ecco dunque l’impegno al quale siamo chiamati: far vivere e alimentare il dialogo interculturale, con rispetto, apertura e pazienza. Questo è la grande proposta del Concilio Vaticano II, a noi coglierla e renderla attuale.

[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 1985

[2] Angelo Scola, ‘Cultura e fede, una dinamica insuperabile’, disponibile su: http://angeloscola.it/blog/2010/01/12/cultura-e-fede-una-dinamica-insuperabile/

Emanuela Reale  - Primo Ricercatore presso Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (CERIS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

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