La certezza di uno sguardo

“Purtroppo c’è chiasso, strepito, rumore e quindi non riusciamo a percepire questo passo di Dio. Facciamo silenzio e riusciremo a percepirlo”. Così il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta nelle “Condizioni personali del testimone” che offriamo ai nostri lettori nella sezione a lui dedicata.

Riusciamo a sentire il passo di Dio nella nostra storia individuale e in quella delle comunità cui apparteniamo? Le lamentele sull’uso del tempo, sulla frenesia paraproduttiva che affligge l’umanità occidentale e a macchia d’olio il mondo intero, sono quasi la controparte logica di una adesione di fondo al dogma dominante, quello della consumazione di beni e servizi sempre meno probabili come unico strumento di identificazione sociale, unico o quasi unico “luogo” in cui riconoscersi comunità umana: non a caso i “non luoghi” del sociologo Marc Augé hanno finito per soppiantare, sul piano geografico, ogni altro concorrente: sono oggi i centri commerciali, non le piazze, a riempirsi di umanità socializzante. Ovvio che essi siano concepiti in funzione dell’incoraggiamento al consumo con l’effetto moltiplicatore dei bisogni indotti dal sistema economico. Chi non tiene il passo, finisce nelle discariche sociali di cui parla spesso Papa Francesco quando denuncia la “cultura dello scarto”. Una massa di scarto aumentata dalle difficoltà economiche attuali. Altro che passo di Dio, qui, non si sente nemmeno il passo proprio, fisico, individuale.

“Signore, che io veda” supplica Bartimeo, come ci viene ricordato nel sussidio di formazione: e si potrebbe parafrasare, che io senta i tuoi passi nella mia vita, nella vita dell’umanità. “Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni” ci suggerisce l’adorazione eucaristica di gennaio.

In uno splendido romanzo dello scrittore Jerome K. Jerome, un personaggio, rivolto ai suoi amici che si stanno arrabattando su cosa portarsi dietro in una gita in barca, suggerisce: non tutto quello che potrebbe farci comodo, ma solo quello di cui non possiamo fare a meno”. Qualche volta, commenta l’autore, “George ha delle uscite di autentica saggezza”. Già.

La soluzione al problema del “rumore” che ci impedisce di sentire la “musica” passa per due colli di bottiglia: il primo, sentirla noi la musica, afferrare lo sguardo di Dio che è sempre su di noi. In altre parole, non fare come Mosè che non se la sente e discute con Dio, non come Giona che addirittura se la squaglia provocando un mare di guai; ecco, fare meglio di loro. Il paradosso della fede è anche questo, che l’ascolto invita alla fuga, ma poi proprio chi se la voleva squagliare è santo, è profeta, è uomo di Dio (quanto a squagliarsi, San Pietro e tutti i discepoli non sono secondi a nessuno).

Il secondo, “essere musica”, trasmettendo ciò che “conosciamo”, cioè la certezza dello sguardo di Dio su di noi: “guardatolo, lo amò” (Mc 10, 21).

Nessuna ricetta di alcun genere per le sempre sospirate “riforme” di cui le nostre società opulente e “in crisi” invocano continuamente l’attuazione può prescindere da questi due colli di bottiglia, da questa necessità di conversione interiore la quale sola rende il testimone credibile, e finalmente lo sguardo di Dio percepibile, il cammino dello Spirito rintracciabile.

E se si insiste su queste metafore fisiche, rumore, musica, sguardo, passo, non è solo per artificio retorico: in verità pare talvolta che si sia giunti ad un passo dallo snaturamento della stessa struttura ontologica dell’uomo. Sinistri richiami sull’uomo nuovo da costruire attraverso le conquiste tecnologiche vanno di pari passo con la mutazione del concetto di realtà, si costringe l’uomo in una serie opprimente di filtri nei suoi contatti sociali non meno che nel suo rapportarsi alla Natura, – Natura, id est Deus, secondo una solida tradizione filosofica che si dovrebbe meditare oggi più che mai – come ancora ci ricorda il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta.

Pure, anche in questo percorso di perdizione che con liberale larghezza è offerto all’uomo da quelle che giustamente si definiscono “strutture di peccato” si deve saper cogliere i “passi di Dio”. Siamo chiamati a rivelare la certezza del suo sguardo su di noi: anche questo tempo è tappa nel cammino della Historia Salutis. “Lo Spirito Santo lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori” e “Le tentazioni non ci devono né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare, perché nessun discepolo è più grande del suo maestro; quindi se Gesù è stato tentato – e addirittura  chiamato Beelzebul (cf. Mt 12, 24) – i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore”: ce lo ricorda Papa Francesco al termine del Sinodo straordinario chiusosi a ottobre.

La Madonna della Fiducia, cui il 14 febbraio si leveranno le preghiere di tutto il Movimento Pro Sanctitate, ci aiuti a comprenderlo: lo sguardo del Signore, come allora si posò su di lei, così si posa oggi su di noi, sulla sua Chiesa, su tutta l’umanità.

Alberto Hermanin

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