Il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta narratore della santità di Dio e della santità degli uomini

APPROFONDIMENTI - Maria Mazzei

È ricco di significato e di implicanze il verbo narrare; presuppone una esperienza profonda ed indimenticabile, un irrefrenabile bisogno di comunicarla così come è stata vissuta, una luce che ha illuminato una vita e non si è spenta. Corre il pensiero ai nonni che raccontano ai loro nipoti esperienze di guerra: sembra sentire adesso il crepitio e il boato di bombe esplose, cogliere la riconoscenza di essere a volte miracolosamente salvo.

Così è stato di Guglielmo Giaquinta, sacerdote, vescovo, fondatore.

Ha narrato la santità di Dio con la sua vita e la vita parla con l’immediatezza di parole, di sguardi, di gesti. Schivo di confidenze, Giaquinta ha affidato la narrazione della santità di Dio ai Ritiri, agli Esercizi spirituali, alle Omelie, qualche volta a rapidi ricordi personali. Leggendo le sue meditazioni sembra di scorrere un diario nel quale, all’approfondimento teologico, segue l’applicazione alla vita; e spesso si effonde in aneliti mistici, in esplosioni poetiche.

La sua vita è stata agganciata ad una parola, quella di Gesù sulla croce: ho sete. Sete di che cosa, Gesù? “Dalla tua bocca riarsa, Gesù crocifisso, un’umile richiesta si indirizza ai presenti: il tuo sitio espressione di una sofferenza senza nome che pervade il tuo corpo dissanguato. Ma io so, Signore, che la tua sete non era tanto esigenza fisica, quanto piuttosto bisogno di anime” (da G. Giaquinta, Preghiere). Lo stupore di una scoperta: un amore infinito. Dietro l’icona del sitio di Cristo, campeggia il volto del Padre che ha mandato il Verbo eterno, il Figlio unigenito per rivelarci il suo amore.

Si snoda da qui una contemplazione sempre più profonda e coinvolgente, e il pensiero, la nostra povera umanità, si arrestano alla soglia del mistero: “È un mistero che Dio ci ama; è un mistero che Dio voglia il nostro amore; è un mistero che Dio mostri il bisogno del nostro amore” (da G. Giaquinta, La spiritualità del Movimento Pro Sanctitate).

Era questa la narrazione di Giaquinta, che dipanava quotidianamente nella sua vita, nella preghiera, nel ministero, nelle iniziative apostoliche.

Ha scrutato Dio con occhi d’aquila per sostenere il Sole, come narra un’antica leggenda, e lo ha contemplato Santo, cioè il tutt’Altro, il Separato; ma questa visione non è completa, ad essa si deve aggiungere l’altra realtà di un Dio che vuole avvicinarsi alla creatura umana. E si rivela e comunica i suoi progetti “Siate santi perché io sono santo” (Lv 11, 44) e quando la rivelazione sarà completa in Cristo, questi dirà: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48). L’animo di Giaquinta si piega all’adorazione: “Dobbiamo far diventare la realtà del Padre una dimensione profonda nel nostro cuore, nella nostra vita”. Un’adorazione così profonda che traspariva nella sua preghiera quando, soprattutto nella celebrazione eucaristica, sembrava vedesse Dio, il Padre. Indimenticabile nel ricordo dei suoi figli spirituali i suoi occhi spalancati sull’infinito. “Durante la celebrazione a volte mi sembrava andasse in estasi, soprattutto nel momento della consacrazione, sembrava un’altra persona e anche questo in me ha inciso molto. Si vedeva che era proprio unito al Signore e quando recitava il Padre nostro era tutto preso come se veramente vedesse il Padre” (da una testimonianza).

Spesso si abbandonava con tenerezza all’amore del cuore trafitto di Gesù, fornace ardente di carità e pareva si schiudessero le porte del Cielo. Che cosa fa oggi il cuore di Gesù in Paradiso? Bellissima la prospettiva che il Servo di Dio ci offre, la consapevolezza di un legame d’amore inscindibile fra cielo e terra. “Gesù gode una gioia infinita nell’eterno Paradiso. Entriamo in un mistero di gioia e di felicità nostra e sua; è meraviglioso pensare a questa sintonia tra il cuore di Cristo e il nostro, sapere che quando diciamo “Gesù ti amo”, e questo atto di amore lo facciamo con gioia, aumentiamo la gioia nel cuore glorificato di Cristo, aumento accidentale, ma reale. Concetto bellissimo che ci rende realmente presente nostro Signore e mette in contatto il nostro cuore con il suo, che non è né impietrito, né staccato dalla realtà, senza più palpiti, ma è vivente, sente, vibra, ama, gode” (da G. Giaquinta, Gesù).

La sintonia fra Dio, Gesù, e il Servo di Dio si fa negli anni sempre più profonda, percepibile, “narrante”. Lo si coglie nella preghiera che diventa ogni giorno più essenziale: “O Gesù Eucaristia, dolce Figlio di Maria, stai con me lungo la via perché io ti ami. E così sia”. Si fa visibile nel suo sguardo perduto nell’amore mentre prega, è frutto di continua fedeltà: “La fedeltà lunga e sofferta, illumina la croce e rivela il volto misterioso dell’amore”.

“Né resterò qui ai tuoi piedi nella dolcezza di un bene trovato, ma scomparirò anch’io nel deserto in cerca di anime assetate o moribonde ai margini delle pozzanghere del male”. Il contemplata aliis tradere di San Tommaso esplode in un desiderio di comunicare il bene trovato a tutti. Dall’ “io”, Giaquinta passa al “noi”: “Vorremmo gridare a tutti e dappertutto quanto tu ci hai rivelato e cioè che il Padre amore ci ama”.

È questo il fondamento della vocazione universale alla santità. Giaquinta ha narrato la vocazione alla santità, la santità degli uomini. Li ha guardati come li guarda Dio, ha intuito in ogni creatura umana il sogno divino: “Al fondo della persona, al fondo di ogni creatura c’è un punto essenziale che vibra, che si chiama cuore che è fatto per amare”. È l’ottimismo antropologico. Fatti ad immagine di Dio abbiamo sempre un inesauribile bisogno di essere amati e di amare, un progetto che deve fiorire. “Mistero del disegno di Dio attuato nell’anima giorno per giorno. Io non so coglierlo nell’istante in cui si realizza, tale disegno di Dio, ma a distanza di tempo, di anni, vedo quanto è mirabile la Provvidenza. E tutti noi siamo chiamati alla santità, siamo i santi di Dio, Dio è mirabile in noi”.

Molti ricordi sono vivi nel cuore di tanti che si sono accostati a lui: ha narrato questa speranza della vocazione alla santità, sostenendo, cogliendo a volte con sguardo profetico vocazioni e futuri cammini, ha guardato con occhi miti dicendo “Coraggio, non avere paura”. “Ricordo i suoi occhi, non erano grandi ma piccoli e sembrava che penetrassero dentro l’anima. E anche il sorriso, ma in particolare lo sguardo…” (da una testimonianza). Ha testimoniato come Gesù la profonda dimensione dell’accoglienza. “Ricordo due episodi che mi riguardano e che, distanti 20 anni uno dall’altro, dimostrano come questo suo comportamento fu costante nel tempo. Nel 1948 – era allora vice-parroco della Madonna dei Monti – chiesi di parlargli di una situazione che mi preoccupava e, non avendo altro tempo a disposizione, mi dedicò tutto il tempo necessario nel pomeriggio del giorno di Natale. Nel 1969 – era ormai Vescovo di Tivoli – arrivai all’appuntamento fissato per confessarmi proprio mentre stava per recarsi all’ospedale dove il fratello veniva operato. Insistetti perché andasse e volevo tornare un’altra volta, ma non ne volle sapere. Disse che lo affidava al Signore e lui sarebbe andato più tardi, intanto c’era la sorella che lo assisteva” (da una testimonianza).

Giaquinta coglie tutti in un’unica prospettiva: gli uomini figli del Padre e in questa unica paternità tutti fratelli. Ha narrato in tutta la sua progettualità apostolica, la possibilità di creare un mondo nuovo fondato sulla fraternità universale: “Il nostro obiettivo è quello di creare e sviluppare tra gli uomini quel rapporto che deve nascere dalla comune figliolanza di Dio, dalla fraternità in Cristo, dalla vocazione alla santità. Il nostro punto di arrivo è la fraternità spirituale; noi vogliamo cioè che gli uomini possano vivere da fratelli in Cristo e riuscire concretamente ad amare il Padre”.

“Si tratta, nella fraternità spirituale, di portare alle sue ultime conseguenze il concetto di carità. Non di avere un qualche rapporto di amore verso il fratello, ma di amarlo con la misura massima voluta da Cristo; di stabilire con lui non il solo rapporto della carità-virtù, ma quello della carità animata dal dono dello Spirito Santo; non di vedere in lui, in genere, un cristiano, ma di sentirlo come autentico fratello e compagno nel cammino verso la perfezione” (G. Giaquinta, La carità ci spinge).

Questo avverrà operando nella famiglia, nel mondo del lavoro, nelle strutture sociali, diventando costruttori di un mondo nuovo: “Parleremo del tuo amore, del nostro Padre celeste, del bisogno di amarci quali fratelli, e di camminare verso la perfezione del Padre”. Tutte le fondazioni e il suo ministero sono stati un narrare i mirabilia Dei. “Si torna a scoprire la forza travolgente del messaggio di Cristo e si comprende che solo attraverso una sua integrale attuazione, gli uomini potranno capire di essere fratelli e attuare le riforme necessarie per una convivenza umana e cristiana”.

Lo guardiamo ancora, questo fedele narratore della santità, per cercare nei suoi tratti i segni del “santo”. “Signore, donaci dei santi. Donaci degli uomini di Dio, degli uomini per cui Dio sia tutto. Donaci degli uomini pieni di amore per te, che non vivano se non per te. Donaci degli uomini che non si possano guardare senza vederti, ascoltare senza sentirti”. Conserviamo ancora l’immagine di Giaquinta nel cui volto filtravano raggi d’amore.

Un ultimo tocco della sua narrazione: la santità della Chiesa famiglia: “Se c’è un desiderio, nella mia vita, che vorrei trasmettere a voi, è quello di ascoltare la Chiesa, di amarla, di vivere, di morire in essa. È la gioia più grande che il Signore possa concederci, è la gioia che auguro a me e a tutti voi figli in Cristo” (omelia, Pasqua 1994).

Nella Chiesa egli ha trovato una madre dolcissima, Maria della Fiducia. L’ha amata ancora adolescente, l’ha scelta come sostegno nel cammino della santità, l’ha invocata nelle prove e nel dolore, l’ha data in eredità ai suoi figli spirituali. In Lei ha colto il raggio della speranza, braccia accoglienti di madre: “E quando giunto a sera sognerò nuove strade, la luce tua di Madre illumini il cammino. Io voglio te incontrare, te voglio ammirare, nel cuore tuo poggiare il capo e riposare”.

Maria Mazzei - Oblata Apostolica del Movimento Pro
Sanctitate di Imperia. 

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