Santi e Apostoli: vocazione e missione dei laici

Anniversario Concilio Vaticano II

L’Anno della Fede, che il Papa ci invita a celebrare, è un’occasione per ricordare il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, ma è soprattutto una sollecitazione a riprendere in mano i documenti promulgati e a chiederci: che cosa ne è stato? Dopo 50 anni, a che punto è la ricezione nella vita ecclesiale di quella che fu una ventata dello Spirito? Quale tema necessita oggi di essere assimilato, compreso? Tante potrebbero essere le risposte e in molti casi di diverso tenore, perché i temi affrontati dal Concilio sono stati tanti e ciascuno, in questo mezzo secolo, ha avuto la sua storia, più o meno travagliata, felice, faticosa…

Scegliamo un tema, uno tra i tanti, e cerchiamo di mettere in evidenza qualche aspetto da approfondire: cosa ha detto il Concilio Vaticano II sui laici? In particolare: quali caratteristiche ha delineato per il laicato cattolico? Cosa possiamo attingere dagli insegnamenti del Concilio per leggere la vocazione e missione laicale nel mondo di oggi?

Domande impegnative, alle quali forse non potremo rispondere pienamente, ma che costituiscono un punto di partenza per cominciare a parlarne.

Il laico del Concilio è anzitutto uno che ha trovato piena cittadinanza nella struttura della Chiesa: forse a quanti, ormai i più, non hanno vissuto il pre-concilio sfugge la portata innovativa della ecclesiologia della Lumen Gentium proprio in merito a questo aspetto. Per capirci meglio, diamo uno sguardo alla composizione della prima parte della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. Il primo capitolo descrive “Il mistero della Chiesa”, opera della Trinità e Corpo mistico di Cristo; la definizione più efficace è quella di “Popolo di Dio”: come spiega ampiamente il secondo capitolo, è una categoria che idealmente vuole includere tutta l’umanità, estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli (cfr. LG 13). “Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo” (LG 18): ecco descritto in poche parole il ruolo della Gerarchia della Chiesa, oggetto del terzo capitolo.

Subito dopo segue uno dei capitoli più innovativi, intitolato semplicemente “I laici”, che si apre con una interessante ‘dichiarazione d’intenti’: “Sebbene quanto fu detto del popolo di Dio sia ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero, ai laici tuttavia, sia uomini che donne, per la loro condizione e missione, appartengono in particolare alcune cose, i fondamenti delle quali, a motivo delle speciali circostanze del nostro tempo, devono essere più accuratamente ponderati” (LG 30). Qui cogliamo due elementi importanti: i laici sono una parte del popolo di Dio, insieme ai

religiosi e al clero, e con loro sono ‘Chiesa’; inoltre, hanno una particolare, specifica missione, determinata dalle loro peculiari condizioni, da quel carattere secolare che è loro proprio: “Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell’ordine sacro, sebbene talora possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG 31).

Chiamati ad essere santi

Continuando nella lettura del documento, il quinto capitolo illumina un altro punto di novità: “Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3)” (LG 39). Oggi può sembrarci scontata, ma l’affermazione della vocazione universale alla santità è una svolta epocale; non è facile trovare, nei precedenti documenti del Magistero, parole simili a queste: “Nei vari generi di vita e nei vari compiti una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adorando in spirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (LG 41).

Parole che dicono che diverse sono le vie, ma la meta è unica, per tutti, anche i laici possono, anzi devono aspirare ai carismi più alti, ad una santità che sia pienezza di vita cristiana.

Interrompiamo qui la nostra lettura della Lumen Gentium, per procedere con qualche ulteriore riflessione sulla “vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo”[1].

Chiamati a stare nel mondo… da santi

La Lumen Gentium ha affermato con chiarezza che il mondo, il ‘secolo’ è il luogo proprio dei laici: anche questa precisazione potrebbe apparire superflua, lapalissiana. La ‘novità’ sta nel fatto che il mondo è anche il luogo dove i fedeli cristiani laici sono chiamati a santificarsi, è il luogo della loro missione, perché essi “vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità” (LG 31).

In questo mondo dove sono chiamati a stare quotidianamente, inseriti, attivi e partecipi e non solo spettatori, i laici vivono la loro vocazione alla santità, che deve essere percepita “prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell’infinito amore del Padre che

li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità” (Christifideles Laici, 17). Santi, dunque, pienamente, ma anche pienamente partecipi della vita del mondo, fatta di lavoro, famiglia, impegno sociale e politico, solidarietà, vita ecclesiale, coerenza evangelica… Ma non si chiede un po’ troppo a questi laici? Non rischiano di diventare schizofrenici, lacerati da questi due poli estremi?

Per una missione: santificare

Domanda retorica ovviamente, per aprire a ciò che consente di unire i due estremi, mondo-santità.

La vocazione dei laici alla santità è la prima faccia della medaglia, che ha nel suo rovescio la missione dei laici: essere fermento di santità, santificare, diventare apostoli, annunciatori del Vangelo in ogni situazione della vita. Per tenere uniti i due estremi ed evitare quella frattura tra vita quotidiana nel mondo e vita spirituale, i laici devono ricordare che essi hanno una vocazione, che definisce la loro identità, e una missione, che dà il tono al loro modo di stare nel mondo, ne chiarisce il senso e gli obiettivi.

Il Concilio ha prospettato non solo la vocazione universale alla santità, ma anche all’apostolato, proprio nel capitolo sui laici[2], e, a scanso di equivoci, c’è anche un decreto specifico sul tema, dal titolo “Apostolicam Actuositatem”, che così si esprime: “i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l’apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine temporale, in modo che la loro attività in quest’ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento” (AA 2).

Vocazione e missione, santità e apostolato, santificarsi per santificare: sono tutte declinazioni della unica e medesima identità, facce di uno stesso prisma che, nella sua interezza, ci dice chi è il laico cristiano, come è chiamato a vivere il suo essere discepolo di Cristo, pellegrino nel mondo e cittadino del Cielo.

Dove vogliamo andare?

“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune… Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1 Cor 12,7.11).

Santità, apostolato, animazione, fermento, testimonianza… a cinquant’anni dal Concilio c’è da chiedersi a che punto siamo, a che punto sono le nostre chiese locali, le nostre comunità parrocchiali, i nostri piccoli e grandi gruppi; ma soprattutto a che punto è la consapevolezza di ciascun membro del ‘popolo di Dio’, vescovi, sacerdoti, religiosi, consacrati, laici.

Non si tratta di fare rivendicazioni, di cercare giustizia, di diritti e di doveri: è una sottile tentazione che talvolta è entrata anche nei nostri discorsi, nei nostri ragionamenti, nelle nostre dinamiche ecclesiali, ma non ha mai portato lontano. Si tratta, invece, di cercare di camminare insieme verso la pienezza, di vivere cioè in maniera sempre più piena e autentica la propria vocazione, di compiere, per quel pezzetto di vita che a ciascuno è consegnato, il progetto di Dio di fare di tutti gli uomini un solo popolo, un popolo santo.

Cristina Parasiliti

[1] È il tema del Sinodo dei Vescovi alla conclusione del quale Giovanni Paolo II scrisse l’esortazione apostolica Christifideles Laici.

 

[2] “L’apostolato dei laici è quindi partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa; a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del battesimoe della confermazione”: LG 33.

 

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