Dio ci cerca

Guglielmo Giaquinta, da La communio, inedito

La nostalgia di Dio, il vuoto esistenziale che l’uomo sperimenta, rivelano l’originaria comunione donata dal Creatore e perduta con il peccato. Lungo i secoli lo Spirito alimenta la speranza di una redenzione, che l’uomo però è incapace di realizzare da solo, e fa maturare l’umanità verso Cristo. Dio interviene: Egli cerca l’uomo perché lo ama.

 

Entriamo nell’argomento della communio, la comunione con Dio. Se esaminiamo così genericamente, anche solo superficialmente, la storia e la psicologia della umanità, anche di quelli che dicono di negare Dio, troviamo che al fondo c’è un certo orientamento che si esprime in forma di religione naturale: presso alcuni popoli, per esempio, nella forma caratteristica dei riti magici misterici, attraverso i quali si ha l’illusione di riuscire ad entrare in contatto con Dio. Che l’uomo sia naturalmente orientato verso Dio è una affermazione che troviamo anche in filosofi certamente non molto vicini a Dio; pensate all’esperienza di Rousseau, del bambino (Emilio) solo in mezzo al bosco, a cui nessuno ha mai parlato di Dio, volutamente, e che un giorno viene trovato in adorazione del Signore.

È qualche cosa di profondo, di istintivo, questo bisogno di Dio, che poi nel cristianesimo diventa bisogno della esperienza di Dio. Per quale motivo per esempio attorno ai mistici, veri o presunti, c’è sempre un affluire di folla? Solo per curiosità? In alcuni casi indubbiamente, più spesso no, non è solo curiosità. È proprio il desiderio, tramite uno strumento umano, di entrare a contatto diretto con Dio. Possiamo quindi dire che al fondo della natura umana c’è una istintiva sete di Dio.

La filosofia della religione ha cercato di indagare le motivazioni profonde di questo bisogno, trovandone diverse. Una delle principali è questa: l’esperienza della propria limitatezza di esseri finiti, chiusi nel dolore, incapaci di superare la barriera della propria impotenza, e d’altra parte il bisogno di superare tale barriera, fanno nascere, come speranza e come esigenza di sopravvivenza, questo anelito per una realtà che trascenda – quasi proiezione della propria speranza, della propria salvezza, del proprio bisogno di evadere dal dolore – dalla limitatezza di se stessi.

La sete di Dio da parte nostra non sarebbe altro che sete di sopravvivenza: l’uomo o accetta di morire schiacciato nella sua limitatezza, nella sua povertà, nel suo dolore, nella sua tragedia, o spezza questo cerchio credendo.

Si tratta di un problema molto importante, che è stato affrontato in tutti i tempi da molti pensatori. Che cosa il cristianesimo pensa di questa sete? Ci troviamo dinanzi ad una illusione della coscienza che proietta fuori di sé la propria speranza o si tratta di un’altra realtà?

S. Paolo parlando ai pagani dice: noi siamo genus Dei, stirpe divina. Il che ci fa intuire una realtà oggettiva esistente in noi, una realtà di generazione: noi siamo nati non semplicemente dalla carne e dal sangue, ma da una realtà superiore che ci trascende. Allora, ecco la conseguenza a cui arriva S. Agostino: questa nostalgia di Dio diventa la nostalgia del Padre, la nostalgia di quell’essere da cui siamo nati. In questa visione Dio non è più proiezione soggettiva della coscienza, ma realtà da cui nasciamo, da cui siamo separati e di cui sentiamo la nostalgia. S. Agostino, in un passo famoso che troviamo all’inizio delle sue Confessioni, dice: Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te.

La realtà più profonda che troviamo in Dio è proprio l’amore. È il pensiero di Giovanni: Dio è amore. Ora, se Dio è essenzialmente amore, se l’unica definizione di Lui vera, comprensibile per me, anche se misteriosa, è questa, ne segue che, nell’ipotesi che Dio voglia comunicarsi al di fuori dell’ambito trinitario non può comunicarsi altro che come amore, dando una partecipazione parziale di Se stesso – e avremo la creazione dei corpi, delle stelle, del nostro mondo – o comunicandosi in totalità per quanto è capace di ricevere la creatura umana – e allora avremo una partecipazione nell’uomo non solo all’essere, ma anche alla conoscenza e all’amore dell’Essere.

Adamo viene subito a trovarsi in una triplice comunione: comunione di amore mistico con Dio (Adamo è l’uomo che ama completamente e perfettamente Dio, perché è amato completamente e perfettamente da Lui), dalla quale nasce una comunione naturale con le creature che Dio gli pone attorno, Eva, i figli, comunione anch’essa di amore, generativa, moltiplicativa dell’amore verso Dio; infine comunione con il cosmo, con la realtà creata, con la natura, la quale ha un linguaggio misterioso per Adamo, poiché con le sue leggi, con le sue cose tanto arcane, gli parla dell’onnipotenza di Dio, o meglio è Dio che, attraverso le leggi della natura, parla ad Adamo, il quale gradualmente scopre queste leggi nascoste da Dio nella natura ed inizia questo dialogo.

Sappiamo però che storicamente avviene una frattura, misteriosa ma reale, il peccato originale. Che cosa avviene, dopo il peccato originale, di questa triplice comunione esistente in Adamo, della comunione con Dio, della comunione della carne e del sangue con i nati da lui, della comunione con la natura?

Noi sappiamo che mentre la comunione con Dio viene automaticamente ad essere distrutta, rimangono le altre due forme di comunione. Rimane anche un vuoto interiore, percepito come realtà esistenziale, il vuoto di Dio. Questa osservazione è importante; c’è tutta una corrente di filosofia moderna, cristiana che parte, nella sua indagine per la dimostrazione di Dio, proprio da questo vuoto che si è creato, da questo vuoto esistenziale che è possibile scorgere e verificare nella attuale tragedia che troviamo in noi.

L’uomo dunque ha in sé un vuoto creato dalla soppressione della communio con Dio; però noi sappiamo che esso è stato almeno in parte riempito da un’altra forma di comunione. Se non fosse stato così, veramente per Adamo, e non solo per lui ma per tutto il genere umano, avrebbe avuto inizio una tragedia senza fine; invece è proprio in quel momento che ha origine un altro tipo di comunione, perché ha origine un altro tipo di speranza. È la communio con lo Spirito Santo, realtà misteriosa che noi abbiamo intuito attraverso l’analisi teologica del mistero della creazione e della redenzione. L’uomo non viene abbandonato in balia di se stesso. È proprio nel momento in cui si crea in lui il vuoto, che viene presentato come la grande speranza, come il grande punto lontano, il Salvatore, fonte di speranza, Cristo, figlio di Maria.

Ma per poter vivere di questa speranza, è necessario che l’uomo sia sostenuto da una forza, la communio con lo Spirito Santo. È questa communio con lo Spirito Santo che fa maturare tutta la umanità verso Cristo, verso quello che potremmo chiamare il punto omega. Gradualmente infatti noi vediamo che l’umanità matura in senso positivo verso Cristo (soprattutto il popolo eletto), e in senso negativo perché approfondisce sempre di più i suoi istinti negativi. La pienezza dei tempi di cui si parla nella Scrittura, nella quale finalmente la speranza sarebbe diventata realtà, è il momento in cui l’umanità prende coscienza della sua radicale impotenza ad autoredimersi, e quindi entra in quello che potremmo chiamare lo stato più profondo di umiltà, che nasce dalla coscienza della propria umiliazione. In quel momento Dio interviene e abbiamo la redenzione. C’è dunque una comunione fondata da una parte sulla nostalgia di Dio, dall’altra su questa azione dello Spirito Santo nei confronti dell’umanità la quale viene così maturata: ed è allora che scocca il momento del contatto con Dio.

Poniamoci una domanda: come conseguenza di tutti questi secoli di maturazione dell’umanità sotto l’azione dello Spirito Santo – il mondo è come immerso in questa corrente di amore dello Spirito Santo che lo conduce verso Dio, verso Cristo – che cosa abbiamo?

Non abbiamo una umanità che nel suo complesso raggiunga Dio. L’uomo può conoscere Dio con la sua intelligenza, può desiderare di arrivare a Lui, però contemporaneamente sente la realtà del suo limite, della sua pochezza, sente la pesantezza dei suoi istinti, la tragedia del suo dolore, sente una realtà che non riesce a superare, prova la nostalgia di Dio ma non riesce ad arrivare a Lui. Che cosa può risolvere la situazione?

Non è l’uomo che si congiunge a Dio, ma è Dio che si congiunge all’uomo: l’uomo ha nostalgia di Dio ma non può arrivare a Lui, Dio cerca l’uomo e si congiunge a Lui per redimerlo. Potremmo dire, esasperando un po’ il concetto, che non è l’uomo che cerca Dio, ma è Dio che cerca l’uomo: quindi una communio, se comunione esiste, è realizzata non perché l’uomo possa attuarla, ma perché Dio la realizza con noi. Fermiamoci a questo punto, poi dovremo iniziare l’analisi della ricerca dell’uomo da parte di Dio.

Perché Dio ci cerca? Credo che nessuno potrà mai dare risposta a questa domanda. Quando noi diciamo che Dio ci cerca perché è amore, diamo una risposta che non ha significato, perché Dio è amore in se stesso, ma io non capisco perché debba amare me che nulla posso dargli.

Allora non ci rimane che adorare il mistero di amore di Dio che si china verso di noi, povere creature che non siamo nulla e non possiamo nulla se non sentire nostalgia di Lui. Nonostante questo, nonostante che noi siamo nulla – che cosa è l’uomo, che cosa siamo noi? Povere foglie d’autunno che cadiamo, che diventiamo spazzatura – eppure Dio amore, Dio onnipotente ci ha creati e si china verso di noi e ci cerca.

È una realtà misteriosa ed immensamente dolce, sulla quale dovremmo fermarci non per un’analisi profonda, ma per una contemplazione ammirata e dolce.

Dio ci cerca e ci ama: questo è il più grande dei misteri, non che Dio sia trinitario, non che sia amore in se stesso. Queste sono realtà che ci trascendono, che non comprendiamo, che non ci interessa comprendere; ma quando si dice che Dio mi ama, questo è qualche cosa che mi riguarda perché crea una comunione tra me e Lui, è una verità che non capisco ma che mi interessa profondamente, perché è capace di stravolgere tutta la mia vita. Dinanzi a questo mistero – Dio mi ama - mi inginocchio in preghiera, in pianto profondo e in ammirazione, con un senso di gratitudine.

Se Dio mi ama, come potrei io, piccola creatura, non riamarLo?

I commenti sono chiusi.