Beata Cecilia Eusepi (1910-1928)

Il “piccolo niente” di Dio

“Esser santa è stata sempre la mia passione”: questa espressione di Cecilia nel suo Diario esprime l’anelito di tutta la sua breve esistenza. Come un filo d’oro, fragile e prezioso, il desiderio di essere santa ad ogni costo l’ha accompagnata fin da bambina, poi nella ricerca della consacrazione religiosa e infine nell’accoglienza della volontà di Dio che l’ha voluta in famiglia, ammalata, totalmente offerta a Gesù Crocifisso.

Cecilia nasce a Monte Romano il 17 febbraio 1910 da una famiglia semplice e buona, povera e ricca di fede. La piccola di casa dopo dieci fratelli, Cecilia, rimasta orfana di padre subito dopo la nascita, è affidata allo zio paterno e a cinque anni si trasferisce a Nepi con la mamma, nella tenuta dei duchi Grazioli Lante della Rovere, detta La Massa, dove lavorava lo zio. Dopo qualche mese è affidata alle Monache Cistercensi nel Monastero di San Bernardo a Nepi: Cecilia considererà sempre una grazia la permanenza in questo luogo “dove si è aperta la mia intelligenza e ho sentito il bisogno di amare Gesù”.

In Monastero riceve la Cresima il 27 maggio 1917 e la Prima Comunione il 2 ottobre dello stesso anno. Intensifica il suo rapporto con il Signore e inizia a sentire nel cuore il dono della vocazione. Sperimenta con semplicità la compagnia spirituale di Santa Teresa di Lisieux che considera la sua maestra spirituale e di San Gabriele dell’Addolorata dal quale impara l’amore all’Eucaristia, la devozione alla passione di Cristo e ai dolori della Madre Addolorata.

Il contatto frequente con i Servi di Maria, confessori del Monastero, la portano, a soli dieci anni, a iscriversi al Terz’Ordine dei Servi di Maria e a vestirne l’abito secolare. Grande è la sua gioia, cresce l’ardore per la santità! Matura nella preghiera il desiderio di diventare Suora Mantellata Serva di Maria ed entra tra le aspiranti a Pistoia il 19 novembre 1923, con la dispensa del Vescovo per la sua giovane età. Sogna la vita missionaria … ma Dio ben presto manifesta per lei altri progetti. Dopo tre anni, infatti, lascia le suore per tornare in famiglia, costretta dalla malattia, che si rivelerà poi essere una tubercolosi intestinale. In circa due anni, trascorsi “in esilio a La Massa” si consuma la vita della beata che muore l’1 ottobre 1928.

La spiritualità di Cecilia Eusepi è incentrata sull’amore a Gesù Crocifisso e a Maria, sull’esperienza della comunione dei santi. Il suo itinerario di santificazione – per tutti imitabile – è fatto di “piccolezza” nel senso evangelico e sulle orme della santa di Lisieux. Cecilia diceva di essere “il piccolo niente” di Dio; aveva individuato del riconoscimento e nell’amore per la sua debolezza un punto di forza nel quotidiano; soprattutto negli ultimi anni amava “lasciar agire Dio”.

L’amore paterno di Dio l’ha presa per mano, l’ha guidata verso una continua preghiera – la mia vita è una continua preghiera, tutti i palpiti del mio cuore, i battiti del mio polso, i miei respiri, intendo siano tanti atti d’amore -; la presenza amorosa di Dio ha offerto luce alla sua sofferenza ed è stata il segreto della sua felicità.

La vita quotidiana è per tutti il luogo della santificazione, attraverso i piccoli gesti dell’amore che sa donarsi senza riserve al progetto di Dio, che può volere solo il nostro bene.

 

 

Dal Diario della beata Cecilia Eusepi

Io amo Gesù, ma non sento nessun trasporto; quando prego sono continuamente distratta, non sento più quel fervore che sentivo una volta, non penso più tanto spesso a Gesù, eppure io vorrei pensarci non ogni minuto, ma ogni secondo. Però mi consolo pensando che essendomi offerta a Gesù, anche non pensando a Lui, io lo amo, la mia vita è una continua preghiera, tutti i palpiti del mio cuore, i battiti del mio polso, i miei respiri, intendo siano tanti atti d’amore. E non è, dunque, questo un continuo pregare, un continuo amare? Desidero sapere se è giusto questo che io penso. Il «Piccolo Niente» è tutto di Gesù, anche i peccati io ho offerto a Gesù, se mi lasciassi quelli, non sarei più un niente, perché il niente non ha niente. Gesù si è degnato farsi conoscere alla povera anima mia, conosco Gesù, per questo sono felice, prima mi agitavo per ogni mia infedeltà, adesso no, se mi agitassi, non conoscerei la mia debolezza, e la bontà del buon Dio.

[…] Vorrei che Gesù si manifestasse a tutti, si facesse conoscere, come si è fatto conoscere a me, allora non vi sarebbe più disperazione, ma solo amore. L’offesa più grande forse che noi possiamo arrecare a Gesù, è la mancanza di fiducia nella Sua misericordia, se gli uomini, anch’essi sanno perdonare e dimenticare, gli uomini i quali posseggono una minima parte della misericordia infinita che possiede, che ha Dio, come potremo dubitare, senza offenderlo grandemente, che ci perdoni Dio? Il Piccolo-Niente vorrebbe buttar fuori tutto ciò che pensa, che sente, che conosce, ma non può, non sa, vorrebbe buttarlo fuori per darlo alle anime. Il piccolo giglio di Gesù, prima di sfogliarsi, si apre, per dare a tutti ciò che in esso ha messo Gesù, vorrebbe dire a tutti le misericordie di Dio, per attrarre tutti verso di Lui, vorrebbe sfogliarsi cantando, «Dio è amore».

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