Rosa Giovannetti – 1889 – 1929

Violoncellista di Dio

 

 

 

La Serva di Dio nacque a Roma, nel popolare Rione Regola, il 16 ottobre 1989 ultima dei quattro figli di Ettore Giovannetti, avvocato particolare di papa Leone XIII. Rosina, come viene chiamata affettuosamente in famiglia, nasce assai gracile tanto che viene battezzata in casa. Bimba di temperamento vivace, ama esibirsi nella recita di poesie in romanesco e mostra di avere inclinazione per la musica; comincia a prendere lezioni di pianoforte e violoncello tanto che a dieci anni tiene con successo il suo primo concerto. Ottenuto il diploma di scuola media si iscrive al Conservatorio musicale di Santa Cecilia; in modo particolare si dedica allo studio del violoncello, diplomandosi nel 1918. Le vacanze estive le passa ad Anzio: è una appassionata del nuoto, dei tuffi e delle gire in barca. Adolescente e signorina, appassionata della musica e dello sport, si impone tra le coetanee della buona borghesia per la gioiosa socievolezza, la semplicità e dolcezza del carattere e il fascino della sua bella voce. Orfana di padre, la mamma è la sua guida saggia e sicura nell’educazione così come nel trasmetterle il gusto per le pratiche di devozione domestica e per la fedele partecipazione alla messa domenicale. Come era norma dell’epoca, riceve la Prima Comunione a 14 anni, nel 1910. Nel 1915 si prodiga con la madre per assistere gli sfollati vittime del terremoto di Avezzano. Durante gli anni della prima guerra mondiale mette il suo talento artistico a servizio di iniziative patriottiche in favore delle famiglie dei soldati. Per tutta la vita Rosina offrirà gratuitamente la propria partecipazione artistica in diverse chiese e luoghi della città per iniziative di carattere religiose e benefico. Nel 1920 è assunta stabilmente nell’orchestra del Teatro Costanzi (dell’Opera). Dopo la sua morte, una rivista musicale scriverà che la Giovanetti: “aveva conquistato nel mondo artistico della capitale larga reputazione per le sue squisite doti di musicista… e per il gusto unito alla magnifica tecnica”.

La carriera nel mondo dello spettacolo è per Rosina il mezzo “Per portare Gesù dove non c’è”. Una volta, mentre veniva applaudita al termine di una sua esibizione, la si sentì dire: “Sia tutto per Gesù!” La sua religiosità fedele e semplice non ebbe mai ad essere mortificata dalle distrazioni della vita mondana: l’arte è per lei il personale modo di rendere lode a Dio. Scrive: “Il violoncello, i concerti? … Fa’ o Signore, che io mi serva di questo tuo dono solamente per cantare le tue lodi e per farti lodare. Non a me gli onori, ma a Te, autore di ogni grazia”.

Alla sua formazione spirituale contribuisce molto la lettura assidua delle vite dei santi, persino durante gli intervalli dei suoi concerti. Tali esempi di santità la spingono a dedicarsi sempre più agli altri, specialmente ai sofferenti. É particolarmente devota di S. Teresa di Gesù Bambino e si farà promotrice della costruzione del santuario di Anzio in onore della piccola carmelitana di Lisieux. A vent’anni si affida alla guida di un direttore spirituale, si accosta quotidianamente alla Comunione; ogni giorno un’ora di meditazione e due esami di coscienza; un ritiro spirituale mensile e annualmente un corso di Esercizi spirituali. Nel 1921 diventa Terziaria francescana. Nel 1922 si offre vittima di espiazione per la santificazione dei sacerdoti e per la conversione dei peccatori. Nel 1923 col permesso del padre spirituale emise il voto temporaneo di castità, rinnovato poi annualmente. Partecipa intensamente all’apostolato nella sua parrocchia di S. Carlo ai Catinari, nella Gioventù di Azione Cattolica femminile e nell’Apostolato della Preghiera per la propagazione del culto di riparazione al Cuore di Gesù. Si iscrive contemporaneamente a molteplici associazioni cattoliche di volontariato riuscendo a compiere perfettamente tutti gli obblighi sottoscritti: “Sono nata per far del bene”. Tra l’altro svolgeva gratuitamente due volte la settimana la mansione di infermiera nell’ambulatorio dei poveri nel quartiere di Testaccio, alla sua epoca miserabile periferia romana. Scrive nel diario: “Fa’ o Signore, che io mi serva del dono di essere la tua piccola infermiera, non per gli onori degli uomini, ma per il solo fine di curare Gesù, visitarlo e consolarlo, per portare le anime a Gesù per mezzo della carità.” Nel 1923 partecipa come infermiera al pellegrinaggio a Lourdes. Devotissima del santo rosario per due volte si reca in pellegrinaggio alla Madonna di Pompei. Nel 1927 è pellegrina in Terra Santa; durante quel mese di pellegrinaggio è l’animatrice dolce e solerte dei canti e della preghiera comunitaria. La sua anima è particolarmente colpita dalla visita all’Orto degli ulivi, rimanendovi tutta una notte in preghiera, quasi presagio del calvario che poco dopo avrebbe dovuto affrontare. Nel maggio 1928, mentre partecipa agli Esercizi spirituali, il suo corpo comincia a coprirsi di bolle che poi scoppiando lasciano sulla pelle delle piaghe: nome scientifico “Penfigo”, malattia all’epoca inguaribile e mortale. Rosa giunge così al momento che ella stessa definisce “l’ora triste e spaventosa” del Getzemani: il primo ottobre 1918 è ricoverata nell’ospedale San Gallicano in Trastevere, da dove uscirà dopo quattro mesi dentro ad una bara bianca. Sempre sorridente e paziente, alle infermiere che ogni mattina detergono le sue piaghe, causandole dolori indicibili, lei le ringrazia promettendo di pregare per loro.

Muore il 30 gennaio 1929 all’età di 32 anni.

Il barnabita padre Guido Cerutti, che era stato con­fessore di Rosa, un mese dopo la sua morte così scrive alla mamma della Serva di Dio: “Mi mancò il coraggio di scriverle su­bito perche non vie parola umana che possa lenire la ferita aperta nel cuore di una mamma per la dipartita di una figlia, e di una figlia come la sua Rosina. Ella sa quanto profondamente io conoscessi quella cara e bellissima anima della sua figliola, che non ave­va alcun segreto per me. Penso dunque che nulla possa esserle di maggior conforto che una mia testimonianza semplice e convinta: la sua Rosina era una Santa. E non creda che il mio elogio sia di quelli che cor­rono facilmente sul labbro di tutti; è l’espressione semplice ma precisa di una convinzione che non e di ieri, ma risale a diversi anni fa. Quel fiore purissimo non era per questo mondo; il Signore lo ha lasciato quaggiù quanto era necessario per arricchirsi di meriti per il Cielo. Gli ultimi suoi anni furono un vero cammino di santità, in un continuo e costante progresso… Non guardi, signora, quel che il Signore le ha tolto; guardi quel che le ha dato: una Santa a fianco di No­stro Signore in cielo.”

Nel 1963 è stato aperto il processo di beatificazione. Rosa Giovannetti riposa nella sua parrocchia di S. Carlo ai Catinari, nella cappella di Santa Cecilia, patrona dei musicisti.

 

“Ti ringrazio, mio Dio, di avermi illuminata a conoscere che solo fare in tutto la Tua volontà è vera santità” (Rosa Giovannetti).

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