L’utopia dei santi

(L’amore è rivoluzione, pagg. 123-128)


I brani proposti in questo numero sono tratti dal libro L’Amore è rivoluzione, pubblicato nel 1973. In questo testo il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta rielabora il suo pensiero sulla vocazione universale alla santità e ne mette in evidenza soprattutto la sua potenzialità di trasformazione della vita personale, della comunità cristiana, della società.

Possiamo considerare il concetto di “utopia dei santi” la traduzione della dimensione universale della vocazione alla santità. In questo capitolo Giaquinta prende spunto dalla storia che ha visto il contributo dei santi allo sviluppo sociale, culturale per trarre da ciò una provocazione: cosa accadrebbe se questo fenomeno della santità diventasse scelta di vita per tutti gli uomini? Naturalmente lo stesso Giaquinta la ritiene un’ipotesi, anzi la definisce utopia, un “ideale che, non essendo né realizzato né realizzabile nella sua totalità, non ha un luogo e quindi è, etimologicamente, utopico”.
Tuttavia, se realisticamente tale situazione non si potrà mai realizzare, “però è una realtà in Dio e in Cristo e può parzialmente essere attuata da tutti noi”. Da ciò consegue che l’utopia dei santi può diventare progetto, tensione di vita, meta verso la quale tendere, “è allora l’ideale che dobbiamo cercare di vivere con tutte le nostre forze, anche se siamo certi che non potremo attuarlo in forma completa perché è infinito”.
Infine, un’ultima sottolineatura che emerge da questo brano è il legame stretto tra santità personale e santità collettiva, un’idea che Giaquinta non tralascia di evidenziare: la santità non è solo una vocazione personale, ma porta con sé una capacità di irradiazione che riversa i suoi effetti sulla realtà che circonda, sulle persone, sulle relazioni, che il ‘santo’ incontra.
“In altre parole: se l’attuazione «totale» dell’utopia dei santi potrebbe portare a un mondo idilliaco, l’attuazione «parziale» porterà a dei cambiamenti profondi e forse sconvolgenti”.

C’è un fenomeno ricorrente nella storia della umanità che si è sempre mostrato di una provvidenzialità eccezionale ed è quello del sorgere dei santi. Potremmo con estrema facilità mostrare i benefici, non solo spirituali ma anche sociali, derivanti dalle loro azioni e dalla loro vita.
Chi ignora il contributo di Benedetto e dei suoi monaci nella civilizzazione dell’Europa, l’opera di pacificazione del movimento francescano, l’attività moralizzatrice dei grandi santi vissuti a Roma nel periodo della Controriforma, l’efficacia caritativa e pedagogica dei santi torinesi del secolo XIX?
La figura del santo polarizza e crea attorno a sé un movimento; gli altri seguono la sua traccia. Ma proviamo a chiederci: che cosa sarebbe avvenuto nella società di un tempo se, per esempio, dopo S. Francesco avessimo avuto nell’Ordine francescano non due o tre santi dell’altezza di Antonio da Padova e di Bonaventura da Bagnoregio, ma tutta una serie terminata di uomini capaci di arrivare alle altezze più eroiche dell’amore di Dio e dei fratelli?
Anche adesso, se per ipotesi concretamente irreale potessimo pensare che ogni francescano e ogni gesuita fosse un santo, non assisteremmo ad un’autentica trasformazione della società? Constatiamo infatti che ancora oggi la figura del santo, e cioè dell’uomo eroicamente donato a Dio e al prossimo, esercita una notevole influenza di concreta convinzione e trasformazione.
Proviamo ora a passare a un tentativo di generalizzazione. Cosa avverrebbe se tutti gli uomini o almeno tutti i cristiani osservassero i dieci comandamenti? L’ipotesi è talmente seducente che preferiamo allontanarla per non doverne confrontare la bellezza ottimale con la pesante realtà di oggi.
Eppure potrebbe essere utile soffermarsi nella sua analisi, dopo avere però radicalizzato l’ipotesi stessa portandola al massimo. Supponiamo cioè che tutti gli uomini o almeno tutti i cristiani fossero degli autentici santi: cosa succederebbe nella società?
Ci vorrebbe un libro di fantascienza spirituale per narrare le vicende di questo ipotetico mondo. Certo gli interessi sarebbero in gran parte differenti da quelli attuali, senza per questo dover pensare che l’uomo sarebbe privato della sua meravigliosa capacità di rinchiudere un atomo del mondo solare in una piccola bomba all’idrogeno o della gioia indescrivibile di mettere piede sulla luna.
Indubbiamente però le trasformazioni ci sarebbero; per esempio né i nostri giornali né i programmi televisivi potrebbero più parlare di scandali, droga, delitti, rapine, violenze, scioperi, guerra e rivoluzioni.
Potremmo tranquillamente archiviare il Codice di diritto penale e buona parte di quello civile, con le relative procedure.
Non apparirebbe di grande utilità la presenza di avvocati, magistrati e forze dell’ordine; non ci sarebbe l’esigenza di armamenti e di soldati e potremmo quindi trasformare in scuole, o fare tornare all’originaria funzione di conventi, molte carceri e uffici giudiziari.
Non cesserebbe l’interesse per la vita, giacché tutte le energie che oggi vengono impiegate per i mezzi di difesa e di offesa sarebbero, invece, totalmente sfruttate in senso positivo ed orientate allo sviluppo spirituale, sociale ed economico dell’umanità. Inoltre tutti gli uomini si considererebbero veri fratelli in Cristo e figli dell’unico Padre e le eventuali difficoltà internazionali si risolverebbero nella fraterna comprensione e carità.
In poche parole, avremmo, al centro dell’umanità, non il cieco egoismo ma la fraternità spirituale che tutti ci unirebbe nel comune cammino verso l’amore del Padre. Evidentemente il quadro è talmente idilliaco da farci pensare all’utopia, anzi alla assurdità.
Se però vogliamo essere oggettivi e riflettiamo che Gesù ha chiamato tutti alla perfezione chiedendo il massimo e la totalità dell’amore, che a tutti ha predicato il vangelo delle beatitudini e che il suo esempio di amore crocifisso ha un valore universale, deve essere cioè seguito da tutti, ne segue che non è lecito parlare di un ideale assurdo.
Siccome di fatto sappiamo che il mondo non è mai stato composto da santi, che non lo è e non lo sarà mai, dobbiamo concludere che l’ipotesi da noi presentata è solo utopica ma non assurda.
Cosa intendiamo per utopia? Evidentemente non il sinonimo di fantasticheria, chimera, follia o assurdità. Utopia è l’ideale che, non essendo né realizzato né realizzabile nella sua totalità, non ha un luogo e quindi è, etimologicamente, utopico.
Parlando della santità universale e totale diciamo che essa non esiste di fatto in questo mondo e quindi è utopica, però è una realtà in Dio e in Cristo e può parzialmente essere attuata da tutti noi.
L’utopia è allora l’ideale che dobbiamo cercare di vivere con tutte le nostre forze, anche se siamo certi che non potremo attuarlo in forma completa perché è infinito. Possiamo essere sicuri che mai riusciremo a raggiungere un mondo di totale e universale santità, ma dobbiamo sforzarci di farlo perché questa è la volontà di Dio.
Il fatto di avere la certezza che mai riusciremo ad attuare completamente il nostro ideale non ci può dispensare dallo sforzo, così come lo Stato non può essere dispensato dal perseguire un ordine di giustizia, anche se sa che molti cittadini lo violano e continueranno a farlo volutamente.
Del resto se non fosse così che significato avrebbe l’invito di Gesù: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli»?
Mai potremo essere perfetti come Lui; tuttavia dobbiamo tendere ad avvicinarci alla sua santità. L’invito di Gesù è verso un ideale umanamente utopico eppure non assurdo e quindi, in parte, possibile e obbligatorio.
La santità non solo personale ma anche collettiva e sociale è dunque una meta alla cui realizzazione tutti siamo chiamati a contribuire.
Da ciò però segue che quel mondo ideale sopra prospettato, anche se non è realizzabile nella totalità, lo sarà, almeno in parte, nella misura in cui riusciremo a far conoscere la vocazione universale alla santità e sapremo convincere noi stessi e gli altri a sforzarci di diventare santi.
In altre parole: se l’attuazione «totale» dell’utopia dei santi potrebbe portare a un mondo idilliaco, l’attuazione «parziale» porterà a dei cambiamenti profondi e forse sconvolgenti.
Ma l’apostolato della santità non è allora il rimedio migliore alle attuali tragiche situazioni e, insieme, il nostro dovere più grave ed urgente?

a cura di Cristina Parasiliti


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