Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia

Sotto il nome dell’ambientalismo e della difesa dell’ambiente passano nel discorso pubblico molte cose, che proprio non vanno nella direzione indicata con luminosa esattezza dal Santo Padre nella Laudato Si’. Fra queste certamente rientra il caso dell’“animalismo”, vale a dire la tendenza a ritenere che gli animali siano portatori di diritti alla stessa stregua degli esseri umani; e talvolta, per essere onesti, anche di più.

Così, una coppia di fatto si ‘scoppia’; segue una lite su chi deve tenere il cane (!). Si finisce in Tribunale (!!??) il quale sentenzia sulla base del seguente ragionamento: primo, centrale in casi come questi è l’interesse e il benessere del cane, che è assimilabile a quello del figlio minore della coppia (!!??). Secondo, non ha alcuna importanza se la coppia sia sposata o solo convivente. Del resto esiste una proposta di legge che equipara la famiglia legale e quella di fatto in materia di cura dell’animale domestico, e questa proposta di legge, osserva il giudice, non è stata ancora approvata a causa del “colpevole ritardo” (secondo il giudice) del legislatore.

Si stabilisce infine che il cane resterà sei mesi con l’uno e sei mesi con l’altro. Quando una delle parti terrà l’animale l’altra avrà diritto ad averlo due giorni alla settimana, notti incluse. Nella sentenza si deplora l’uso del termine “padroni” riferito ai litiganti nei riguardi del cane: si tratta, secondo l’autorevole Tribunale di Roma di “espressione non felice”.

Gli animali di affezione (cani, gatti, criceti, canarini, ma ormai anche asini, maiali, papere e cavalli, in attesa dei rettili) sono sempre più spesso beneficiari di lasciti e donazioni magari anche più che consistenti in termini economici. Nel settore si sta affermando una vera e propria specializzazione legale perché i parenti spesso ricorrono contro disposizioni di questo genere ma per lo più perdono davanti al giudice.

Per completezza di informazione osserviamo che la parte soccombente in questa lite è stata condannata a pagare le spese processuali per una somma di più di 5000 (cinquemila) euro.

Non si fanno commenti da parte nostra. Si leggano piuttosto i paragrafi 89 e 90 di Laudato Si’.

“Le creature di questo mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: «Sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11, 26). Questo induce alla convinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile. Voglio ricordare che «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione».

Questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella. Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni di altri. Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti”.

Ecco, fermiamoci su quegli “altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta”.

Forse possiamo azzardarci a supporre che le persone che amano così svisceratamente il loro cane da imbastirci sopra una causa che costa migliaia di euro siano tranquillamente convinti di avere una elevata sensibilità ambientale. Che magari partecipino a manifestazioni politiche che lamentano il cattivo funzionamento, che so, della raccolta differenziata dei rifiuti.

Di certo, i semi di speranza richiamati dal tema dell’anno del Movimento Pro Sanctitate non si possono cercare in questi comportamenti. È ancora lo stesso documento ci indica invece una direzione corretta, al paragrafo 118:

“Questa situazione ci conduce ad una schizofrenia permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano. Ma non si può prescindere dall’umanità. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un determinismo fisico, «si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la coscienza della responsabilità». Un antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità”.

Verrebbe da aggiungere solo “amen”.

Alberto Hermanin

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